Uno Stato americano ha bandito ufficialmente TikTok

(ASI) Stati Uniti – La guerra sotterranea fra Washington e Pechino si arricchisce di un ulteriore, clamoroso capitolo. Protagonisti lo Stato federale del Montana e il social cinese, divenuto ben presto popolarissimo a livello globale.

Il 17 maggio, con una decisione senza precedenti, il governatore dello Stato americano nord-occidentale ha vietato ai residenti l’utilizzo di TikTok. Di origini italiane, Repubblicano, Greg Gianforte ha alle spalle una laurea in scienze informatiche e una carriera da imprenditore nel settore dello sviluppo di software.

“Tiktok non può operare all'interno della giurisdizione territoriale del Montana”, recita lapidario il disegno di legge appena promulgato e destinato a entrare in vigore nel gennaio 2024. Una vera e propria messa al bando, dunque, che farà sparire l’applicazione dai telefonini dei cittadini.

I negozi digitali – il Google Play Store di Android o l’Apple App Store ad esempio – che continueranno a permettere di scaricare la diffusissima applicazione sui cellulari dei residenti rischiano una multa di 10.000 dollari. Somma che si cumulerà di giorno in giorno, finché la violazione della norma non verrà sanata.

La decisione è stata motivata dal polemico governatore con la volontà di “proteggere i dati personali degli individui dal Partito comunista cinese”. Il riferimento è a ByteDance, azienda proprietaria del social incriminato. Il colosso tecnologico con sede a Pechino viene ormai da anni accusato di intrattenere con la classe dirigente cinese relazioni assai poco trasparenti.

Al centro della disputa vi sono i dati personali degli utenti, che secondo molti finirebbero dritti nelle mani del Partito con finalità riconducibili allo spionaggio internazionale. “TikTok raccoglie un'enorme quantità di informazioni e dati dai dispositivi degli utenti, molti dei quali non sono correlati al presunto obiettivo dell'app di condividere video” ha ammonito Gianforte, gettando ombre sulle reali intenzioni dei proprietari del social.

La scelta, come prevedibile, ha innescato un enorme polverone mediatico. In una dichiarazione rilasciata alla CNN, TikTok ha condannato con fermezza quella che definisce “una misura illegale”. L’azienda non ha perso tempo e ha subito promesso battaglia: “Continueremo a lavorare per difendere i diritti dei nostri utenti dentro e fuori il Montana”.

Oltre ai diretti interessati, però, sono molte le entità statunitensi che hanno alzato la voce contro il provvedimento. L’Unione americana per le libertà civili (ACLU) ha imputato al governatore di aver “calpestato la libertà di parola” in nome di un “sentimento anti-cinese” espressione di “discutibili interessi politici”.

Secondo l’organizzazione non governativa impegnata a difendere i diritti umani fondamentali, TikTok è a tutti gli effetti una “piattaforma di comunicazione” che consente alle persone di esprimersi liberamente. Per questo, silenziare il social significa assestare un duro colpo alla libertà di parola, violando in tal senso la Costituzione americana. L’organizzazione, inoltre, critica il “divieto totale” anche perché finora non sono emerse prove certe e inconfutabili che legano l’utilizzo di TikTok a possibili minacce alla sicurezza dei cittadini o della nazione.

Non si è fatta attendere nemmeno la replica di NetChoice, un influente gruppo di pressione da oltre vent’anni portavoce delle istanze dei giganti di Internet. Il gruppo rappresenta attualmente circa trenta grandi aziende. Tra di esse figurano social network (Facebook, Instagram, WhatsApp, Twitter e la stessa TikTok), motori di ricerca (Google in testa), fornitori di servizi di pagamento (compresa la polare PayPal) e i più conosciuti siti di acquisti digitali (Amazon, eBay).

In una nota, NetChoice osteggia aspramente “questa legge palesemente incostituzionale”, che limiterebbe in maniera ingiustificata la libertà di parola precludendo ai cittadini di accedere a TikTok. Il provvedimento contravverrebbe, in aggiunta, al principio costituzionale che impedisce di sanzionare direttamente un individuo o un’entità in assenza di un processo formale.

Ma non finisce qui. Per tutta risposta, infatti, all’indomani della controversa deliberazione il governatore ha emanato un nuovo ordine esecutivo, sempre mirato a “mantenere al sicuro i cittadini e i loro dati e informazioni sensibili”. Stavolta, Gianforte ha proibito ai funzionari statali di utilizzare sui dispositivi di lavoro una serie di applicazioni che “forniscono dati e informazioni personali ad avversari stranieri”.

Il testo del provvedimento menziona specificamente i social CapCut e Lemon8 – anch’essi di proprietà di ByteDance – assieme alle piattaforme di messaggistica WeChat e Telegram. La prima è controllata dal colosso cinese dei videogiochi Tencent, mentre la seconda è stata fondata in Russia.

Insomma, sembra proprio che le tensioni sfociate tra Washington, Pechino e Mosca stiano rapidamente coinvolgendo il settore tecnologico. Tuttavia, la partita assume sfumature ben più estese.

D’altronde, a fine 2022 fu la Casa Bianca per prima a vietare TikTok, seppur limitandosi ai soli cellulari usati per lavoro dai funzionari del Congresso e dai dipendenti di agenzie federali e uffici governativi. Una mossa replicata qualche mese dopo dalla Commissione europea e dall’Europarlamento, allo scopo dichiarato di salvaguardare le principali istituzioni comunitarie da “minacce alla cibersicurezza” e “attacchi informatici”. Sulla scia di Bruxelles, persino il Canada ha bloccato l'installazione del popolare social sui dispositivi mobili in dotazione ai dipendenti governativi. 

Forse dobbiamo rassegnarci: nel mondo iperconnesso in cui viviamo, l’eterna contesa tra Oriente e Occidente si disputa anche a colpi di “mi piace”. E di accessi negati.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

 
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