(ASI) Negli ultimi giorni, i media degli Stati Uniti hanno diffuso dei presunti "documenti segreti" presentandoli per veri e speculando in merito ai centri per l’istruzione e la formazione professionale nello Xinjiang.
La Camera dei Deputati degli Stati Uniti ha approvato la cosiddetta "Legge sulle Politiche per i Diritti Umani degli Uiguri 2019", diffamando deliberatamente la situazione dei diritti umani nello Xinjiang e attaccando le misure e i risultati ottenuti dallo Xinjiang nella lotta al terrorismo e nella de-radicalizzazione. Tutto ciò rappresenta un rovesciamento dei fatti che nasconde secondi fini.
A partire dagli anni 90 del secolo scorso, nella regione dello Xinjiang si sono verificati migliaia di casi di attentati terroristici che hanno causato la morte di migliaia di innocenti e violato i diritti fondamentali degli abitanti locali mettendo a repentaglio la loro vita, i loro beni, il loro lavoro e la loro fede religiosa. Di fronte alla continua minaccia terroristica, le autorità cinesi a tutti i livelli hanno la responsabilità di garantire la sicurezza e la tranquillità della popolazione. La creazione dei centri per l’istruzione e la formazione professionale è una misura intrapresa proprio a questo fine, che non solo rispetta appieno le leggi cinesi ma è anche in linea con il diritto internazionale.
Nel "Piano d’Azione per la Prevenzione dell’Estremismo Violento" delle Nazioni Unite si legge che la povertà, la disoccupazione ed il basso tasso di alfabetizzazione sono tra i fattori determinanti che contribuiscono all'emergere dell’estremismo violento; si legge altresì che tutti i Paesi sono incoraggiati ad intraprendere misure preventive volte alla riduzione della povertà e a fornire formazione professionale insieme ai provvedimenti direttamente finalizzati a combattere l’estremismo violento. L’obiettivo per cui nello Xinjiang sono stati creati i centri per l’istruzione e la formazione professionale è proprio quello di aiutare le persone che sono state plagiate e indottrinate ad uscire dall’influenza del pensiero estremista e del terrorismo ed aiutarli a migliorare le loro competenze professionali. Queste strutture rappresentano, quindi, un'attuazione concreta delle iniziative della comunità internazionale per la lotta al terrorismo e la de-radicalizzazione.
Il terrorismo costituisce una sfida comune per tutti i Paesi del mondo. I terroristi non badano alle differenze tra nazionalità, religioni, sesso o età, per questo l’anti-terrorismo non può usare "due pesi e due misure". Tutti i Paesi dovrebbero rafforzare la cooperazione ed escogitare misure preventive per il contrasto al terrorismo, la de-radicalizzazione e la tutela della sicurezza comune. I media statunitensi condannano fortemente l’attentato terroristico avvenuto a Londra negli ultimi giorni, ma al contempo diffamano le misure preventive anti-terrorismo intraprese dalla Cina. Qual è la logica in tutto questo, qual è il senso?
Le bugie sono e rimangono bugie. Anche se vengono ripetute all’infinito non si trasformano in verità. E la realtà dimostra che la legittima lotta al terrorismo nello Xinjiang soddisfa le aspettative di tutti i gruppi etnici che ne compongono la popolazione, promuove lo sviluppo e tutela la stabilità. Negli ultimi tre anni non ci sono stati attentati terroristici nello Xinjiang, sono stati invece registrati evidenti risultati positivi sotto tutti gli aspetti. Nell’ultimo anno e mezzo, più di 70 delegazioni straniere, con oltre 1.000 delegati provenienti da più di 91 Paesi nel mondo, si sono recate nello Xinjiang. Esse hanno potuto vedere coi propri occhi e toccare con mano la vera vita quotidiana degli abitanti della regione.
Qualche Paese, nel nome dell’anti-terrorismo, si è intromesso brutalmente negli affari interni di altri Paesi, esportando le proprie ideologie e generando una situazione per cui "più si attacca più si crea terrorismo", che ha causato caos e confusione nella regione. Anche l’Europa, nota per la sua serenità e tranquillità, è stata colpita dal terrorismo. Le misure che lo Xinjiang ha intrapreso per la lotta al terrorismo mirano a curarne non solo i sintomi ma anche la radice affinché la sicurezza sia duratura. Nel mese di Ottobre, 60 Paesi hanno pronunciato vari discorsi a sostegno delle politiche cinesi nello Xinjiang. Di questi, 30 sono Paesi islamici. Comparando queste situazioni credo che tutti, chi più e chi meno, possano trarre un'opinione equa e giusta.
È necessario sottolineare che gli affari relativi allo Xinjiang appartengono esclusivamente alla politica interna cinese e non è assolutamente accettabile l’ingerenza di qualsiasi altro Paese. Continueremo ad impegnarci per lo sviluppo e la costruzione dello Xinjiang e per promuoverne la stabilità sociale, perché tutti i gruppi etnici che compongono la popolazione regionale possano godere di maggiore benessere.
S.E. Li Junhua - Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia