Presidenziali USA: La campagna vince sulla città

Trump5(ASI) Roma – La storia è veramente imprevedibile. La storia ora si sta capovolgendo: tutto è stato rimesso in discussione, nulla è più certo. La storia ha ripreso ad essere veloce. Così forse si potrebbe sintetizzare lo storico risultato elettorale negli Stati Uniti d’America.

Ancora una volta i protagonisti sono stati gli ignorati dal mainstream. Giornali, televisioni, dotti analisti, intellettuali di prima categoria, sono stati tutti smentiti e “schiaffeggiati” dal cittadino normale. L’uomo comune, l’uomo qualunque, è il vero vincitore delle presidenziali. In particolare un tipo di uomo qualunque è stato il capofila del “cazzotto” all’establishment: il contadino! L’uomo della campagna e la sua semplice genuinità ha vinto sull’eclettico abitante delle città e sul suo essere “cool”. La campagna ha trionfato sulla città ancora una volta, come già era successo con la Brexit. In Inghilterra tutta l’informazione e la politica urlavano a perdifiato che l’uscita del Regno Unito dall’UE non sarebbe mai accaduta, che il “remain” era in netto vantaggio, che i giovani – la fantomatica “generazione erasmus” – avrebbero votato tutti per rimanere nell’accogliente visione paradisiaca dell’Unione Europea. Ma anche nella terra di sua Maestà Elisabetta II, gli illustri politici, i sondaggi sicuri, gli analisti eccelsi e i giornali seri, sono stati usati come “cartastraccia” per la pulizia delle mani del contadino inglese dopo una giornata lavorativa nella terra dei campi.

Donald Trump con il suo essere un istrione dello schermo televisivo e della politica, è riuscito a rappresentare la gente della strada. Financo con la sua volgarità, con le sue cadute di stile e con quel suo sorriso beffardo; è riuscito a rappresentare molto di più l’uomo medio americano che non gli incipriati, gli osannati dal mainstream, come i politici di professione alla Hillary Clinton. Talmente sviolinati e portati in palmo di mano, che tutti gli avversari del Tycoon sono apparsi alla gente come “finti”, lasciando lui – e le sue castronerie – come l’unico uomo che si poteva toccare concretamente e per questo “autentico”.

Contro di lui, ed il suo parlare alla pancia dell’America profonda, si era schierata la destra e la sinistra americana. Ma l’ormai ex-candidato repubblicano ed ora 45° Presidente USA, in una sola botta ha mandato a carte quarantotto tutta la politica statunitense e non solo essa. Un’altra volta un candidato del tanto stigmatizzato “Populismo” ha spezzato i classici schemi politici della destra e della sinistra, facendo primeggiare il discrimine “con il Palazzo o con la gente”. Il mondo che il 9 novembre 2016 ha assistito a questa vittoria è ormai distante “anni luce” dal mondo sorto il 9 novembre del 1989 alla caduta del Muro di Berlino.

Ora è sicuramente presto per vedere i reali intendimenti che la politica di Donald Trump attuerà. Sicuramente va altresì detto che ciò che quest’uomo ha proferito nella sua campagna elettorale, è sicuramente tranquillizzante. A dispetto di tutti i sapienti analisti che gridavano “al lupo, al lupo” e che non hanno mai realmente condotto un’accurata analisi del suo programma, Trump ha parlato di pace distensione e collaborazione con le altre potenze mondiali, compresa la Russia. Ha asserito di volere ripensare totalmente la NATO, indirizzando gli Stati Uniti verso un percorso interno ai propri confini, segnando con ciò la fine consequenziale della politica espansionistica e belligerante che Washington ha condotto nell’ultimo quindicennio. Dall’altra parte che cosa avevamo invece? Oltre i bei sermoni dell’importanza di una candidata donna alla Casa Bianca, della sua descrizione sempre luminosa intessuta tra le righe dei giornali, che cosa veniva proposto? Una politica USA con ancora mire di protagonismo mondiale; un forte muro contro muro con la Russia e i suoi alleati; una proposta di no-fly zone in Siria contro Assad e Mosca; un incoraggiamento all’UE a mostrare i muscoli ai confini con lo Stato di Vladimir Putin. Dunque verrà da sé comprendere che nonostante la sua tenuta “pittoresca”, Trump – per ciò che ha detto – rappresenta la pace rispetto alla Clinton che rischiava di rappresentare la guerra.

Trump prende in consegna una nazione profondamente divisa. Non il miracolo della politica di Obama: che di quale miracolo si tratti ancora va compreso. Ma lo Stato con la più profonda disparità sociale mai vista; sull’orlo di una pericolosa guerra civile su base razziale; con un’inaudita crisi lavorativa. A tutto questo Trump sarà chiamato a rispondere. Sicuramente alcuni suoi punti d’ispirazione keynesiana, come l’investimento nel pubblico, possono altresì rappresentare una buona speranza per una nazione che chiede lavoro e che da anni vive solo nel mondo di finzione dell’economia finanziaria con i suoi grafici, i suoi trend e i suoi numeri che schizzano e si ristringono nella velocità di un secondo.

La “Rivoluzione Trump” può rappresentare inoltre una grande novità sul piano geopolitico. Se l’America ora attuerà una politica più protezionista e attenta a non oltrepassare il ciglio di casa sua, come si evolverà lo scacchiere internazionale? Ma non solo. Questa vittoria può essere anche il detonatore che faccia esplodere tanti ordini stabiliti in Europa. La vittoria del tante volte etichettato “populista”, può essere la stura che serviva ai tanti movimenti politici di rottura con l’establishment in Europa. Il Front National in Francia, il Partito della Libertà in Austria, i vari movimenti nazionalisti in Germania, il braccio di ferro di Orbán con Bruxelles: tutti i classificati oppositori dell’Unione Europea sicuramente saranno favoriti da questa inaspettata vittoria.

Cosa accadrà domani ancora non è dato saperlo. Ma è certo che ne vedremo delle belle...

Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia

 

 
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