Intervista all'Ing. Francesco Giannini, Presidente dell'Arca (Associazione Regionale Cavatori Abruzzesi )

giannini copy(ASI) Abruzzo – Continuiamo lo speciale sulla Pietra della Maiella, dopo l'intervista all'artigiano Eugenio Toppi, scalpellino che si occupa della lavorazione di questo materiale a Lettomanoppello (“La Città della Pietrà”, anche detta “La Piccola Carrara d'Abruzzo”), scambiando due chiacchiere con l'Ing. Francesco Giannini, Presidente dell'Associazione Regionale Cavatori Abruzzesi (A.R.C.A.), la cui famiglia, dagli anni Cinquanta del Novecento, ha una azienda che si occupa dell'estrazione di materiali nelle cave abruzzesi.

Ci parli brevemente dell'evoluzione storica dell'estrazione della Pietra della Maiella nelle cave...

"Esistono riferimenti di epoca greco - italica su dei Comuni della Maiella marruccina, come Lettopalena (Ch) e Lettomanoppello (Pe), il cui toponimo deriva dal greco "Lithos", perché erano delle cave per l'estrazione della pietra (Latomìa, termine greco antico che indicava la cava di pietra n.d.r.). Ancora più eloquente il toponimo di Roccamorice (Pe) che deriva dal medievale "roccamora", dal colore della roccia asfaltata nera (bitume), oppure Valle Romana, contrada di Manoppello, nei pressi dell'Abbazia di Santa Maria d'Arabona (costruita probabilmente sull'antico tempio romano della Dea Bona n.d.r.). Tutto ciò, sta a dimostrare che l'estrazione nelle cave di Pietra della Maiella, avviene da sempre”.

Nel tempo c'è stata una certa evoluzione per quanto concerne le tipologie delle tecniche estrattive utilizzate? Ce ne parli...

“Nei tempi antichi, quando non c'era ancora la dinamite (inventata nel 1867 dal chimico svedese Alfred Nobel n.d.r.), si utilizzava una tecnica con dei fioretti di ferro con cui si facevano a mano dei fori che poi venivano riempiti d'acqua che nei rigidi inverni montani gelava e solidificava, o in estate con dei cunei di legno, spaccando la roccia, magari con l'ausilio di di picconi e leve. Questa tecnica aveva il problema che poteva asportare solo pietra semi fratturata”.

Poi nel 1867 ci fu l'avvento della dinamite... “Con l'avvento della dinamite, c'è stata una svolta, in quanto si poteva velocemente asportare anche della roccia ancora compatta che poi si decideva se lasciare come masso informe o se farne dei blocchi da taglio. Tutto veniva progettato nei minimi dettagli dall'ingegnere minerario a seconda dell'utilizzo della pietra, finanche nel numero di fori da fare per l'estrazione, la loro profondità e quantità”.

Non era per certi versi pericoloso l'uso della dinamite per eventuali incidenti? “Se non si voleva usare la dinamite che comunque era sempre temibile per i crolli e l'esito incontrollato delle esplosioni nelle cave e miniere, si utilizzava la tecnica del “filo elicoidale” che scorreva lungo la roccia con due pulegge che lo muovevano di continuo con l'apporto di acqua e di sabbia silicea”

Ancora oggi si usano queste tecniche? “Le suddette tecniche sono ancora in uso, anche se diciamo che negli ultimi decenni l'evoluzione tecnologica ha portato delle nuove tecnologie per facilitare l'attività estrattiva, come le monolame automatiche diamantate, oppure delle frese diamantate che fresano la roccia, erodendo degli strati che possono essere spessi da qualche centimetro fino a venti trenta centimetri, a seconda dell'occorrenza".

Cristiano Vignali – Agenzia Stampa Italia

 

 

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