Cina. La rivoluzione fiscale e le "4 R" favoriscono una crescita ad alta qualità
hO4TH7dbOT8(ASI) Le politiche di semplificazione e alleggerimento fiscale adottate nel corso degli ultimi anni dalla Cina hanno dato risultati molto positivi. È quanto emerso due giorni fa da una relazione di PricewaterhouseCoopers e della Banca Mondiale, che misura la semplicità fiscale per le piccole e medie imprese private in 190 Paesi nel mondo.
Grazie anche alle nuove modalità di fatturazione elettronica, frutto della cosiddetta Internet Plus Taxation Initiative lanciata dal governo nel 2015, il Paese asiatico ha così semplificato le pratiche, riducendo i ritardati pagamenti del 20% nel solo 2016. Secondo quanto riportato da Xinhua, la relazione afferma che i tempi di adeguamento per i contribuenti sono scesi a 207 ore contro le 259 del 2015, per una riduzione complessiva del 75% rispetto al dato del 2004.
Alla fine di quest'anno, inoltre, si faranno ulteriormente sentire anche gli effetti della riforma che a maggio 2016 ha sostituito la tassa sulla produzione con una nuova tassa sul valore aggiunto e che già alla fine dello scorso settembre ha ridotto il carico fiscale sulle imprese di oltre 1.000 miliardi di yuan, cioè circa 150 miliardi di dollari. L'obiettivo, più estesamente, è quello di revisionare l'intero sistema fiscale entro il 2020, anno conclusivo del 13° Piano Quinquennale di Sviluppo Socio-Economico.
Il rinnovato quadro di semplicità fiscale ha senza dubbio favorito la nascita di nuove imprese. Nel triennio 2014-2016, in Cina ne sono nate complessivamente oltre 13 milioni, mentre nei soli primi otto mesi di quest'anno, quasi 4 milioni. I numeri, impressionanti di per sé, lasciano poco spazio ai dubbi, specie se si considera che centinaia di migliaia di queste nuove aziende sono attive nel settore dei servizi o dell'innovazione, ambiti che Pechino intende promuovere per accrescere qualità e competitività, avanzando lungo le catene globali del valore.
Considerando la previsione di una crescita del PIL al 6,8% per quest'anno, fornita ad ottobre dal Fondo Monetario Internazionale dopo ben quattro revisioni al rialzo, al di sopra del 6,5% fissato circa tre anni fa dal governo come riferimento indicativo per la fase della nuova normalità, la struttura complessiva dell'economia cinese sta subendo profondi mutamenti senza perdere terreno in termini di produttività. La riforma strutturale dell'offerta è senz'altro la chiave di volta per comprendere i cambiamenti che stanno conducendo l'economia cinese verso la "nuova era" recentemente descritta durante il 19° Congresso del Partito Comunista Cinese. In passato caratteristica degli approcci più inclini al liberismo nelle economie avanzate, in particolare negli Stati Uniti di Ronald Reagan, oggi la riforma dell'offerta diventa il perno di politica economica e fiscale del più grande Paese a guida comunista del mondo. Meno tasse e meno burocrazia per più lavoro e più competitività. Come questa ricetta stia riuscendo ad inserirsi in un sistema dove lo Stato continua a giocare un ruolo di regolazione determinante e dove l'estensione del welfare viene posta quale priorità, è il grande busillis di molti economisti occidentali. Eppur funziona.
Qual è il segreto di questo successo? Un editoriale di Xinhua, pubblicato ieri, ha parlato delle cosiddette "quattro R": resilienza, riduzione, ristrutturazione e robot. «Malgrado qualche fluttuazione di breve periodo - sostiene Xinhua - l'economia ha continuato a crescere in modo costante, con un PIL in espansione del 6,9% su base annuale nei primi nove mesi». Allo stesso modo, anche il mercato del lavoro appare stabile grazie alla creazione di quasi 12 milioni di nuovi posti di lavoro nel periodo compreso tra gennaio e ottobre di quest'anno, con una disoccupazione ferma al 3,95% nelle città.
Le mosse del governo per diversificare le attività produttive e ai servizi sul territorio, stanno inoltre favorendo nuovi investimenti nelle aree meno sviluppate, come il Nord-Ovest, ai confini con l'Asia Centrale, dove giocherà un ruolo fondamentale l'iniziativa Belt and Road, o in quelle legate al vecchio sistema industriale, come ad esempio il Nord-Est, dove l'antico porto di Yingkou, aperto agli stranieri nel 1861, è tornato ad attrarre investimenti esteri per circa 3,2 miliardi di dollari da quando, lo scorso aprile, è entrato a far parte della Zona di Libero Scambio del Liaoning.
Parlando di riduzione, invece, l'editoriale sostiene che «la Cina ha dato il via ad un'importante opera di riequilibrio tagliando la capacità in eccesso nei settori dell'acciaio e del carbone, dove aveva registrato la più alta produzione al mondo». Già un anno fa, il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese aveva comunicato la riduzione della produzione siderurgica di 45 milioni di tonnellate e quella di carbone di 250 milioni di tonnellate. I dati del Dipartimento Nazionale di Statistica relativi al periodo gennaio-novembre 2016 avevano effettivamente confermato che gli investimenti nell'industria estrattiva erano calati del 20,2%, mentre erano in forte ascesa quelli legati al settore dell'elettronica e telecomunicazioni. Nei primi nove mesi di quest'anno, poi, l'industria hi-tech è cresciuta addirittura del 18,4% su base annua, rispetto all'11,7% dell'anno precedente. Tuttavia, il riassetto produttivo non ha intaccato il processo di riassorbimento della manodopera ma ha addirittura generato la più alta crescita negli ultimi cinque anni del livello di utilizzo degli impianti, che ha raggiunto quota 76,6% tra gennaio e settembre di quest'anno.
«Anziché fare eccessivo affidamento sugli investimenti e sul commercio esteri - osserva l'editoriale di Xinhua - l'economia cinese ha tratto maggior forza dai consumi, dai servizi e dall'innovazione». La crescita esponenziale del settore dei servizi è, in effetti, una delle grandi novità della ristrutturazione economica cinese. Stando ai dati ufficiali, il terziario «è cresciuto del 7,8% su base annuale nei primi nove mesi, contro il 3,7% del settore primario ed il 6,3% di quello secondario, contribuendo alla crescita per il 58,8%».
Un più esteso utilizzo dei robot, cioè dell'automazione, è infine la conferma che «la manifattura cinese sta diventando più intelligente». Ne è un esempio iFlytek, azienda cinese di punta nel settore dell'intelligenza artificiale, che, in cooperazione con l'Università Tsinghua, ha recentemente sviluppato Xiao Yi, un nuovo robot capace di raggiungere un punteggio pari a 456 su un test scritto per la qualifica nazionale di medico, ben al di sopra della soglia di superamento della prova, fissata a 360 punti.
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 
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