Poste Italiane è al 100 % dello Stato, cioè del Tesoro (chiamato ancora così nonostante quell’enorme montagna di debiti) a cui la stragrande maggioranza degli italiani ha affidato i propri sudati, sudatissimi risparmi. Massimo Sarmi, l’amministratore delegato di Poste, è intervenuto per precisare che per entrare in Alitalia “non può essere utilizzata alcuna risorsa proveniente né dai conti correnti postali né da buoni e libretti postali” ma esclusivamente quelle derivanti “dai ricavi delle attività industriali e di servizio (servizi postali, telefonia, servizi digitali)”. Ammesso che sia tutto vero quello che sostiene Sarmi, è altrettanto vero che se si comincia a “investire” tante risorse, che peraltro verranno, di fatto, bruciate in nemmeno di due mesi, in un’operazione ad altissimo rischio, le Poste potrebbero avere dei contraccolpi, mettendo in discussione la solidità patrimoniale che è la principale garanzia per milioni di piccoli (ed indifesi) risparmiatori. Tra l’altro, secondo British Airways e l’associazione dei consumatori, Codacons, sarebbe un “aiuto di Stato” e come tale vietato dalle leggi europee. Della questione si occuperà prestissimo la Commissione Europea.
Tenere in vita a tutti i costi Alitalia, una società che non è in condizione, per molteplici ragioni, di fare profitti, utilizzando a fondo perduto immense risorse pubbliche è pazzesco. Lo è ancora di più in questo momento di crisi, quando non si riescono a trovare i soldi (così ci dicono, all’unisono) per ridurre la pressione fiscale che essi stessi ammettono sia insostenibile. Cinque miliardi di euro ce li ha fatti perdere Berlusconi, adesso ci prova Letta & C. Intanto stanno elaborando una nuova legge, cosiddetta di stabilità (per loro) e nelle anticipazioni il Corriere della Sera titola: “Tagli alla sanità e nuove tasse”, che è poi la stessa cosa. Di tagli agli sprechi e alle ruberie, invece, non se ne parla. Ma che cosa devono ancora fare, questi incapaci ed incompetenti, per cacciarli via a calci nel sedere?
F.V.