(ASI) In un momento di smarrimento culturale come questo è opportuno ricordare le nostre radici culturali effettive; è ciò che fece già Francisco Villar negli anni Novanta con la pubblicazione del testo “Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa”.
Ma cosa serve per essere davvero “indoeuropei”? Il requisito fondamentale è avere per lingua madre una lingua, per l’appunto, indoeuropea. Secondo l’autore, oltretutto, la vera e più importante rivoluzione è stata quella linguistica (da quando l’uomo ha iniziato a esprimersi tramite un linguaggio articolato), d’altra parte la lingua che parliamo è la finestra che ci permette di vedere il mondo.
Ancora adesso è in voga sui libri scolastici ed universitari la suddivisione “classica” delle lingue indoeuropee nei tre rami – neolatine, germaniche, slave. In origine, però, i nostri antenati parlavano una lingua regionale e occupavano uno spazio piccolo.
Il testo di Villar (almeno per quanto concerne questa prima parte) si suddivide in tre sezioni aventi rispettivamente per temi chi sono questi indoeuropei, come vivevano e come pensavano e com’era la loro lingua.
“Indoeuropeo” si è imposto a scapito di tante altre definizioni, tranne che in Germania in cui negli ambienti accademici si usa “Indogermanici”.
Il nome con cui si conoscono i popoli è sia quello che ogni popolo dà a se stesso sia quello che gli viene dato da altri; ebbene, per loro non si conosce nessuno dei due.
Nelle aree estreme ci sono vestigia: a oriente un popolo chiama(va) se stesso aryas e di ciò è rimasto il nome “Iran” mentre a occidente troviamo i nomi Ariovisto e Ariomanno e Eire (Irlanda) anche se l’etimologia è ovviamente diversa.
Secondo A. Jager nel Caucaso si sarebbe parlata una lingua che sarebbe poi scomparsa ma che avrebbe lasciato eredi: greco, latino, lingue germaniche, celtiche, slave e persiano (ancora non si conosceva il sanscrito perché era il 1686).
Diverse denominazioni furono date alla “lingua comune”: scitoceltico, germanico e infine indoeuropeo. Gli studi più importanti furono quelli dei fratelli Schlegel, di Jones, di Bopp e Rask.
Ci furono tre ipotesi sulla provenienza dei suddetti indoeuropei, vale a dire l’Europa (i Paesi baltici, la Scandinavia e/o l’Ungheria), l’Asia e le steppe del Sud della Russia (qui bisogna evidenziare la presenza della cultura kurgan, messa già in rilievo dall’archeologa e studiosa Marija Gimbutas) e l’Asia minore e/o i Balcani.
Nella determinazione delle coordinate “dove”, “quando” e “come” circa gli Indoeuropei è essenziale l’impegno congiunto di storia, archeologia e archeologia preistorica.
Ma allora com’era la situazione prima di loro? La Gimbutas dà la denominazione di “vecchia Europa” per definirla: si trattava, dunque, di una società caratterizzata dall’agricoltura, dedita più all’arte che alla guerra, e soprattutto matriarcale, tant’è che adoravano la Grande Madre apportatrice della vita.
Le cose iniziarono a cambiare in due ondate, e cioè nel 4400 a. C. e poi esattamente mille anni dopo. Gli Indoeuropei erano un popolo guerriero e questo è confermato da ben tre letterature (indiana, greca e germanica), in più l’archeologia del I millennio a. C. rivela corredi funebri adeguati. La religione, presso queste genti dedicate alla pastorizia e all’agricoltura, era di tipo naturalista e l’adorazione del disco solare è durata di più presso i popoli germanici.
Per quanto riguarda la concezione della morte, per i popoli della vecchia Europa esisteva una percezione ciclica della vita mentre per loro rappresenta la fine irreversibile di qualcosa. I primi avevano un sistema di numerazione duodecimale (peraltro esistente in qualche “fossile” linguistico in quanto ancora adesso certe cose si contano a dozzine) mentre i secondi ne usavano uno decimale.
Ma com’erano fisicamente questi Indoeuropei? Tanto per cominciare ogni speculazione di questo tipo avrebbe senso solo se fosse riferita ai popoli delle steppe, caratterizzati dalla robustezza delle ossa, dal cranio lungo e dalla statura elevata, dunque da un tipo cromagnoide archeologicamente parlando.
Infine, prima di addentrarsi nelle vicende dei singoli popoli, Villar analizza com’era la loro lingua (fonetica e morfologia) partendo dalle analisi di V. G. Childe degli anni Cinquanta.
Bisogna tener presente che l’Indoeuropeo è una lingua di tipo preistorico e la si conosce in maniera molto schematica.
(segue)
G.R. - Agenzia Stampa Italia