L’anima dell’occidente – recensione

(ASI) Nell’Ottobre 2013 i tipi della Castelvecchi Edizioni hanno pubblicato una piccola antologia di testi di Rabindranath Tagore comprensiva di “Judgement” e “Meeting of the East and the West”, in origine apparsi su “Visva-Bharati Quaterly” rispettivamente nel 1925 e nel 1930-1931.

 

Il primo articolo comincia con una constatazione da parte dell’autore: l’Asia, specialmente la sua gioventù, è attratta da uno stile che considera moderno, ma non è una garanzia di efficienza e soprattutto di effettiva modernità.

Tutte le grandi nazioni dell’Oriente si sono dovute sottomettere a invasioni straniere ma questo contatto fu abbastanza mite; il radicale cambiamento, invece, è arrivato tramite i mezzi di comunicazione, di conseguenza l’Occidente apparve come una grande nazione predatrice. L’Asia, all’inizio, rifiutò di riconoscere la pretesa superiorità dell’Europa ma alla fine fu costretta, anche perché gli occidentali convinsero quei popoli “con la punta delle loro baionette” che erano gli eletti da Dio.

A tal proposito, Tagore esprime il proprio disappunto nel ricordare la prontezza del Giappone ad accettare il Cristianesimo, in quanto è la religione che aveva “illimitato contante nelle banche dei suoi devoti e spaventose armi da guerra nei propri arsenali”.

Fa anche un’affermazione che 90 anni dopo suona estremamente profetica: “Così come l’oppio ha incatenato nelle pastoie del torpore le menti delle future generazioni della Cina, l’argenteo narcotico iniettato nell’indole della gente sta producendo un’impotenza nazionale cronica, inducendo un’abitudine che porterà la madrepatria a vendere i propri figli”.

In Asia l’Occidente dunque è stato giudicato un’opportunità necessaria alla salvezza dell’Oriente, invece secondo Tagore non ci si dovrebbe umiliare ad esso.

L’aspetto più evidente del carattere occidentale è un insulto per entrambi i mondi; al contrario tutti gli incontri fra civiltà dovrebbero rivelare verità degne di una memoria permanente (ad esempio ciò che è successo fra India e Cina).

C’è tuttavia un elemento stabile dell’Occidente, vale a dire la scienza, con la quale ha fatto una grande luce sul cammino della Ragione.

Per ciò che concerne l’incontro fra Oriente ed Occidente, Tagore può affermare di averlo vissuto in prima persona. Nello specifico, nel XIX secolo la Rivoluzione Francese ancora non si era spenta del tutto, la gente sognava libertà e fratellanza per gli uomini. Era proprio quell’aspetto (l’umanità) della civiltà occidentale ad attirarlo.

Tagore, poi, spiega la sostanziale differenza fra un mondo e l’altro: “In Oriente crediamo nella personalità, in Occidente voi provate ammirazione per il potere”. Oltretutto, secondo lui, quest’ultimo, non vedendosi dall’esterno, non si rende conto di essere diventato una terribile minaccia e soprattutto non crede più nell’Uomo; al contrario, in Oriente si crede in lui, che è al di sopra di tutte le cose.

Si può dare un’identità a questo “Uomo Assoluto”? Sì, si tratta del Mahatma Gandhi, la forza spirituale maggiore.

Dunque la civiltà occidentale ha le sue regole e il suo ordine ma non è munita di personalità, cosa che, invece, sta nel cuore di ogni essere vivent

G. R. - Agenzia Stampa Italia

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