Intervista a Paola Toti, discendente di Enrico

toti(ASI) Padova – Per il ciclo delle interviste della memoria, questa è dedicata a Paola Toti, discendente di Enrico, il bersagliere ciclista che pur mutilato di un arto inferiore, scagliò la gruccia contro il suo nemico il 06 agosto del 1916 morendo da eroe sul Carso. Un sentito grazie a Lei e al Suo illustrissimo avo!

 

 

1. Gent.ma Sig.ra Toti, La ringrazio per aver accettato quest’intervista. Lei è la discendente dell’Eroe della Prima Guerra Mondiale Enrico Toti,   entrato nella storia 100 anni orsono per aver lanciato la sua gruccia al nemico, pur privo di una gamba. Qual è il Suo grado di parentela?

 Mio nonno paterno ed Enrico erano cugini di primo grado, figli di due fratelli. Mio nonno lo ricordo perfettamente anche se ci lasciò quando io avevo solamente cinque anni e quindi non ebbi il tempo di parlare con lui di Enrico, ma mia nonna lo ricordava perfettamente e me ne parlò qualche volta. Per lei non era l'eroe che tutti conosciamo. Per lei era semplicemente Enrico, quello che non stava mai fermo, che costruiva giocattoli di legno per i bambini trasteverini e che era uguale a mio padre nel carattere. Finiva sempre i suoi racconti con questa frase: "Tuo padre ed Enrico sono uguali. Tutti e due sempre di corsa, sempre irrequieti. Cosa potevano essere se non bersaglieri?" e rideva.

 

2. Che insegnamento può dare un eroe come Toti all’Italia attuale, totalmente priva dello slancio e degli ideali di un secolo fa?

Essere privi dello slancio e degli ideali di un secolo fa è come essere privi di un arto, sebbene sia difficile paragonare quella generazione, figlia di una pulsione profonda e di grandi ideali, a quella attuale. Enrico è l'esempio più lampante delle potenzialità dell'essere umano quando ad una menomazione si riesce a supplire con una ferma volontà. Ecco che allora l'esempio di Enrico può servire da sprone a quanti oggi ritengono inutile qualunque sforzo per modificare una realtà che a molti non piace ma che non si osa modificare. La ricostruzione, si sa, è sempre più complessa e difficile della costruzione ma può essere anche molto entusiasmante. Enrico scrisse un opuscolo dedicato ai giovani nel quale li esortava a non arrendersi di fronte alle difficoltà della vita ma a perseguire il raggiungimento della felicità con coraggio e determinazione. Ricordo sempre con grande piacere l'invito ricevuto da una scuola elementare di Pisa. Una scuola dedicata ad Enrico Toti. Quando arrivai fui accolta dall'Inno Nazionale cantato dai bambini. Le maestre mi raccontarono che con grande impegno i piccoli avevano passato giorni ad impararne le parole. Non credo le dimenticheranno mai più. Ecco che testimoniare un esempio, divulgarne alle giovani  generazioni l'insegnamento morale, civile, umano, diventa impegno, diventa azione, per chi sente fortemente dentro di sé il dovere di condividere con altri l'esempio ricevuto da chi lo ha preceduto. Io credo che, prima ancora dell'eroe, vada raccontato l'uomo Enrico Toti. Lo credo perché penso che sia l'uomo, prima che l'eroe, ad essere di grande esempio. Come scrisse  Giulio Bedeschi in un bellissimo e lungo articolo del 1973 su "Storia Illustrata":  "A ricercarlo nei documenti, nei ricordi di chi lo avvicinò e ne scrisse, ad ascoltare chi lo conobbe affiora e a grado a grado si compone una sanguigna figura d'uomo a tutto sbalzo, una immagine che cresce sotto gli occhi e si impone alla nostra coscienza, tanto che alla fine balza evidente che eccezionale in Enrico Toti, ben prima che il morire, fu il costante suo modo d'essere uomo. Più si avvicina alla fine, meno la biografia di Enrico Toti è confrontabile con quella di qualunque altro uomo. Nella buona e nell'avversa fortuna Toti fu sempre e totalmente se stesso". Ecco! Bisogna scoprire l'uomo dietro l'eroe, poiché costui ha moltissimo da insegnare a chi oggi facilmente si arrende all'avversa fortuna. 

 

3. Qualche anno orsono, aveva accennato che la Sua famiglia non offrì solo Enrico Toti alla Patria. Chi è l’altro Suo antenato che ha scelto di immolarsi per questo ideale?

In quel caso mi riferivo a mio padre, nipote di Enrico, Ufficiale del 3° Reggimento Bersaglieri durante la II Guerra Mondiale. Prigioniero di guerra in Siberia, nonostante la terribile prigionia,le torture, il freddo, la fame e la crudeltà di tale prigionia, non solo rifiutò - sotto la minaccia di non tornare mai più in Italia - di firmare un documento che i russi sottoposero agli ufficiali prigionieri nel quale si chiedeva la cessione di Trieste alla Jugoslavia di Tito ma, insieme ad uno sparuto gruppo di compagni organizzò una ferma resistenza alla propaganda russa all'interno del campo sottraendo molti italiani al tradimento del giuramento fatto al re e alla Patria durante la scuola di guerra. In nome dell'Italia. Il rischio era altissimo ma il suo senso dell'onore, il suo amore per l'Italia, furono più forti di qualunque minaccia. Pur non essendo mai stato scoperto, i russi, ritenendolo uno dei duri del campo perché non si piegò mai, lo condannarono a morte. Rientrò fortunosamente in Italia solo nel 1946 a guerra oramai finita. Incontrando anni fa un generale, compagno di prigionia di mio padre, questi mi disse: "Tuo padre era un uomo fiero. In tutti gli anni della nostra prigionia non disse mai a nessuno di essere il nipote di Enrico Toti. Noi sapevamo chi fosse ma rispettammo la consegna del silenzio e non ne parlammo mai. Tuo padre fu degno del nome che portava. Salvò tanti compagni di prigionia ma nessuno gli diede mai una medaglia. Eravamo reduci scomodi a quei tempi. Ci pensammo noi compagni di prigionia ad appuntargli sul baldo petto la medaglia più preziosa: quella dei testimoni oculari del suo valore". Anche mio nonno fu un pluridecorato di guerra. L'eroismo sembra sia un vizio di famiglia.

 

4. Torna spesso nella zona di Monfalcone dove il Suo avo ha compiuto l’eroico gesto?

Sono stata diverse volte a Monfalcone. E’ un richiamo che avverto fortemente. Spero di tornarci a Settembre in occasione delle celebrazioni per il centenario della morte di Enrico. E’ sempre una fortissima emozione per me tornare a Quota 85. Mi suscita una profondissima emozione essere al cospetto del Tricolore che si trova di fronte al cippo di Enrico. Sembrano due giganti silenziosi a presidio delle anime di tutti i nostri caduti. A Quota 85 ho un aneddoto curioso da raccontare. Un fatto del quale fu testimone la persona che mi accompagnò. Fu la prima volta che mi recai al sacrario di Quota 85. Non avevo idea del percorso da effettuare a piedi ed era una bellissima giornata di sole. Il cielo limpido, terso. Nemmeno una nuvola. Ero reduce da una brutta ferita che mi aveva causato una notevole perdita ematica qualche settimana prima ma ero decisa a percorrere la strada sterrata che porta al cippo commemorativo di Enrico. A metà strada cominciai a sentire la fatica della salita. Il sole era forte e non c'era riparo alcuno in quel tratto. Percorsi altri duecento metri e crollai a terra. La persona che era con me si spaventò conoscendo le mie condizioni. Mi invitò a tornare al più presto indietro. Ricordo che mentre ero seduta a terra rivolsi questo pensiero ad Enrico: "Sono arrivata ad un passo da te. Indietro non torno. Dammi la forza di proseguire". Mi rendo conto che è incredibile ciò che dirò ma in quell'esatto momento una piccola nuvola oscurò il sole. Da dove fosse spuntata non so ma di certo creò un’ombra che lentamente mi fece riprendere le forze. Per tutto il percorso, e fino al mio ritorno a Monfalcone, restò lì a fare ombra. E' una ricordo che porterò sempre con me. Una cosa talmente strana eppure accadde. Un caso? Forse. O forse è vero che la volontà muove le montagne. In quel caso mosse una piccola nuvola in mio soccorso.

 

 5. Quali sono le associazioni, o le istituzioni che ancora oggi, ricordano Toti?

L'Associazione Nazionale Bersaglieri, attraverso le sue sezioni (alcune dedicate ad Enrico) mantengono vivo il suo ricordo. Il ricordo del loro "fante piumato" più leggendario. Lo Stato Maggiore dell'Esercito insieme all'Associazione Nazionale Bersaglieri sono i promotori delle celebrazioni per il centenario. Ho avuto occasione di constatare che anche la Marina Militare Italiana non ha dimenticato l'Eroe e ne custodisce gelosamente alcuni cimeli.

 

6. In passato, qualcuno aveva messo in discussione la veridicità del gesto del Bersagliere – ciclista. Che cosa risponderebbe oggi, a queste persone che disconoscono il valore umano e morale di una persona che era per giunta mutilata di un arto?

Il revisionismo storico è stato una sorta di "sport" molto praticato negli ultimi decenni. Un ricercatore, uno storico serio ricerca le fonti, le testimonianze, i documenti. Se le sue "tesi" non sono suffragate da tutto ciò, devo ritenere che il suo lavoro sia  frutto solo della sua mente. Quindi non solo privo di ogni valore storico ma anche di quella onestà intellettuale necessaria per essere credibili. Ad una persona così non ho nulla da dire. Ad altri direi di leggere le lettere di Enrico. In una, indirizzata alla sorella Lina, Enrico sembra preconizzare il gesto finale: "E quando incontrerai un'anima abietta ,lanciale tutto il tuo disprezzo". Le ha risposto Enrico in persona. Minimizzare la portata di un'anima non eleva altri automaticamente. Mi vengono in mente le parole di Pietro Bolzon, testimone diretto della vita di Enrico al fronte, quando, il 4 Novembre 1923 scrisse: "Ho repulsione a confondermi cogli esibizionismi dei molti arrivisti del dopo guerra che si rifanno sui morti non potendo ben figurare tra i vivi...la genia degli uomini "savi" è l'eterna calunniatrice sistematica degli uomini eroici.

 

7. Ritornerà un giorno, un tempo in Italia, dove anche le memorie Patrie verranno riviste, vissute e celebrate degnamente?

Vede, forse una delle differenze tra un Eroe e tutti gli altri consiste nel fatto che l'Eroe ha la capacità di agire sulla realtà che lo circonda. Egli agisce ed agendo modifica la realtà. Fino a quando noi ci augureremo che questa società cambi senza cambiare prima di tutto noi stessi, sarà una speranza vana. Torneranno quei giorni se noi avremo avuto la capacità di concepire un nuovo sogno che travalichi i confini della persona, del singolo. Quando all'io avremo sostituito il "noi" ricominceremo a sognare. Quando, per quel sogno, saremo capaci di tornare a lottare, rischiare, agire e anche morire. Quale sarà la scintilla che accenderà quel nuovo fuoco negli italiani? Non lo sappiamo. Possiamo solo augurarci che quella diventi un fuoco talmente potente da illuminare le coscienza sopite e le guidi verso un nuovo avvenire. E' la fiaccola che i nostri Eroi accesero sul Carso e che noi non dobbiamo lasciare estinguere. E' una eredità troppo preziosa perché possa essere dilapidata dalla dimenticanza. Dimenticanza di noi stessi. Dimenticanza dei nostri martiri. I martiri della nostra libertà ai quali non dovrà mai mancare il nostro ricordo e soprattutto la nostra azione. Ai centomila caduti di Redipuglia che dal loro sudario di marmo ci urlano di non dimenticarli,ci urlano "PRESENTE" noi abbiamo il dovere di rispondere. Di rispondere loro a nostra volta: "PRESENTE" e di esserlo sul serio attraverso la nostra quotidiana opera di ricostruzione.

 

Valentino Quintana – Agenzia Stampa Italia

 

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