Le sanzioni europee alla Russia stanno funzionando?

(ASI) Bruxelles – Mentre non accenna a diminuire l’intensità dei combattimenti in Ucraina, rimane aperto il dibattito sull’efficacia delle sanzioni imposte dall’Unione europea alla Federazione russa. Ma a che punto siamo?

Secondo l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, le misure restrittive comunitarie stanno producendo effetti significativi. Finora, Bruxelles ha approvato ben undici pacchetti di sanzioni relativi a molteplici ambiti finanziari, ha limitato considerevolmente la circolazione di merci e prodotti e ha congelato i beni in suolo europeo di 1.500 individui e 250 società legate a doppio filo a Vladimir Putin.

Basandosi sulle stime degli esperti dell’Unione e delle principali istituzioni internazionali, Josep Borrell Fontelles ha tratteggiato un quadro in chiaroscuro. L’anno scorso l’economia russa ha registrato un rallentamento del 2%, con un vistoso calo dell’industria manifatturiera. Tra i settori più penalizzati troviamo la produzione di autoveicoli e mezzi di trasporto, l’elettronica, la tecnologia, dove il blocco di rifornimenti delle componenti occidentali si è fatto sentire.

Le esportazioni russe in direzione dell’Europa sono più che dimezzate rispetto ai volumi precedenti lo scoppio della guerra. Solo nel primo trimestre di quest’anno, la richiesta di beni come ferro, acciaio, metalli preziosi e legno è crollata del 75%, mentre le fonti energetiche hanno subito un decremento dell’80%, anche a causa dell’impegno europeo nel diversificare gli approvvigionamenti.

Nel 2022 Bruxelles ha deciso di interrompere del tutto l’acquisto di carbone russo. Allo stesso tempo, stando all’Agenzia Internazionale per l’Energia, il tetto massimo al prezzo del petrolio stabilito dal G7 ha intaccato le entrate petrolifere del Cremlino di quasi il 30% in un anno.

Anche le esportazioni europee verso Mosca si sono assai ridimensionate, registrando un calo complessivo del 52% in confronto al 2022. A risentirne sono stati per lo più i “beni a duplice uso”, cioè beni di utilizzo quotidiano la cui elevata componente tecnologica potrebbe essere impiegata dal Cremlino a scopi militari.

L’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico indica che, entro la fine dell’anno, il Pil russo dovrebbe ridursi di due punti e mezzo percentuali. Ma per gli esperti di Bruxelles vi sono anche altre insidie, dal consistente calo delle entrate petrolifere alla svalutazione del rublo, fino alle difficoltà incontrate dalle imprese nazionali a causa del blocco alle esportazioni di componenti e pezzi di ricambio europei. Per non parlare delle riserve della Banca centrale russa sul suolo comunitario, le quali sono state subito congelate per un valore di circa 207 miliardi di euro. L’intenzione dell’Ue è quella di impiegarle per finanziare la lunga fase di ricostruzione dell’Ucraina.

Tuttavia, a detta di Putin le cose non stanno proprio così. Il capo del Cremlino ha pronunciato un vibrante discorso alla nazione a febbraio ed è intervenuto al 26° Forum economico internazionale di San Pietroburgo a giugno, tratteggiando una congiuntura piuttosto differente.

Il presidente ci ha tenuto a restituire l’immagine di uno Stato in ottima forma, capace di reagire prontamente alle ricadute delle sanzioni europee. Putin ha messo in evidenza le buone condizioni di salute delle finanze nazionali, parlando di un Pil in aumento e di un incremento del tasso di crescita dell’economia.

Numerosi sono stati i riferimenti a una disoccupazione “ai minimi storici” e a un’inflazione “inferiore a quella di molti paesi occidentali e dell'eurozona”. Il presidente non ha perso tempo per citare dati positivi sugli investimenti e i prestiti erogati dalle banche a imprese o privati cittadini. Ha poi annunciato un grande piano di opere pubbliche mirato a modernizzare le infrastrutture esistenti e a edificarne di nuove.

Relativamente alle esportazioni, Putin ha più volte ribadito come esse non abbiano risentito delle restrizioni dell’Ue. Al contrario, egli ha prefigurato per l’anno corrente un “nuovo record nelle esportazioni di grano” verso il resto del mondo. Il presidente, inoltre, ha voluto minimizzare gli effetti della ritirata della maggior parte dei grandi marchi internazionali sull’economia e sull’occupazione. Si tratta, a suo dire, di un’importante occasione per rafforzare ed estendere la presenza delle imprese nazionali.

D’altronde, l’Europa non è certo l’unico mercato a cui Mosca guarda con interesse. Non a caso, sin dall’imposizione delle prime sanzioni il capo del Cremlino ha cominciato a intensificare i rapporti diplomatici con altri potenziali alleati. Putin ha più volte affermato di voler “rafforzare i legami commerciali” con Asia, Medio Oriente, Africa, America Latina, aumentare la “cooperazione tecnologica” con i paesi del gruppo Brics, proseguire a coltivare le relazioni “davvero buone” con la Cina di Xi Jinping o l’India di Narendra Modi.

Secondo Putin, le restrizioni si stanno ritorcendo contro chi le ha varate. Forte dell’annosa dipendenza energetica di gran parte degli Stati membri Ue, il capo del Cremlino ha dipinto l’Occidente come un attore globale fortemente ridimensionato, alle prese con una “impennata generalizzata dei prezzi” e una “crisi energetica senza precedenti”.

A proposito di restrizioni, l’ultimo pacchetto comunitario – l’undicesimo – è entrato ufficialmente in vigore lo scorso 23 giugno. Tra i provvedimenti di maggior peso vi è la stretta sulle esportazioni di prodotti e tecnologie potenzialmente impiegabili nel settore militare russo quali circuiti e componenti elettronici, materiali per semiconduttori, componenti ottici, strumenti di navigazione, particolari metalli, attrezzature marine. Nel contempo, le esportazioni europee di alcuni prodotti sensibili – beni a duplice uso, armi da fuoco, componenti per aerei, additivi per carburati e altri prodotti sensibili – non potranno più transitare su territorio russo nemmeno se sono indirizzate verso paesi terzi.

Un’ulteriore stretta ha riguardato l’importazione del petrolio moscovita. Esso non potrà più giungere in Germania e Polonia attraverso l’oleodotto Druzhba, mentre rimarrà operativo l’oleodotto in Kazakhstan gestito da un consorzio di imprese internazionali tra cui figura la nostra Eni.

Bruxelles ha deciso di interrompere le trasmissioni sul suolo comunitario di cinque nuove emittenti – RT BalkanOriental ReviewTsargradNew Eastern OutlookKatehon – accusate di essere meri strumenti di propaganda e disinformazione in mano al Cremlino. Nella lista nera delle sanzioni sono finiti, in aggiunta, altri 100 fra individui e aziende russe, ivi compresi i due istituti MRB Bank e CMR Bank. I beni in loro possesso saranno immediatamente congelati e non potranno più ricevere alcun finanziamento a livello europeo.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

 
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