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L'on. Antimo Cesaro in merito alla lettera di Luca Cordero di Montezemolo al Corriere della Sera

(ASI)Lettere in Redazione - L'on. Antimo Cesaro in merito alla lettera di Luca Cordero di Montezemolo al Corriere della Sera.

"Se l'esasperazione del conflitto ha lo scopo di portare il Paese ad elezioni in tempi brevi, ciò, come ha oggi evidenziato Luca di Montezemolo sul Corriere della Sera, ci spinge su un crinale dagli esiti 'potenzialmente disastrosi', anche in considerazione della 'inutilità' di una tornata elettorale ancora una volta regolata dai perversi meccanismi del Porcellum.

Si abbia allora, con realismo, il coraggio di vivere l'intesa tra le maggiori forze politiche del Paese come una opportunità.

La grande coalizione diventi perciò viatico a 'grandi ambizioni' per agganciare la ripresa.

Se, ovviamente, si è in grado di coltivare grandi ambizioni!

Ben vengano, allora, le proposte del Presidente di Italia Futura,  tutte orientate al rilancio della competitività dell'Italia: investimenti  in cultura, formazione e ricerca (scientifica e industriale) e, inoltre, l'assunzione di provvedimenti su liberalizzazioni, sburocratizzazione, semplificazione e ammodernamento delle regole disciplinanti il mercato del lavoro. E ciò insieme a un 'massiccio piano di incentivi alla crescita', teso, innanzitutto, a diminuire la tassazione su impresa e lavoro (leggasi: taglio del cuneo fiscale e dell'Irap).

Lo 'shock di competitività' auspicato per il Paese dovrà essere finanziato in primis dal 'dimagrimento' della struttura elefantiaca e pletorica dello Stato.

Il tutto accompagnato da significativi e qualificati tagli alla spesa:

mirati, settoriali e non lineari.

Ma, accanto alla necessaria austerity si deve, però, avere il coraggio di ritornare agli investimenti, con una seria riflessione in merito agli impegni presi sul contenimento del debito pubblico.

'A situazione invariata il debito continuerà a crescere per inerzia' - afferma Luca di Montezemolo.

È vero. Una crescita del debito pubblico alimentata passivamente dalla retribuzione della rendita e non in conseguenza di una coraggiosa politica di incentivi alla crescita.

E anche il sistema bancario è chiamata a fare la sua parte, per 'riattivare il credito alle imprese', in un'assunzione corale di responsabilità cui certo non può e non deve sottrarsi la classe politica.

Ho particolarmente apprezzato questo richiamo di Luca di Montezemolo:

l'agire politico non dev'essere affidato alle cure dei burocrati ministeriali.

Chi ha responsabilità di governo deve avere coraggio delle scelte.

Anche in riferimento a ciò si pone il discrimine tra vecchia e nuova politica, tra etica pubblica e mero spirito di sopravvivenza!"

Antimo Cesaro, deputato di Scelta Civica.

 

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Per completezza dell'Informazione ASI fornisce il testo della lettera di Luca Cordero di Montezemolo al Corriere della Sera

Caro direttore,
siamo tornati pienamente al copione della Seconda Repubblica. In vista della legge di Stabilità, destra e sinistra si dividono su ogni cosa, tranne sulla difesa di Province, finanziamento pubblico ai partiti, legge elettorale e una generica richiesta di allentare i cordoni della borsa. Nel settore privilegi e abusi la grande coa- lizione funziona ma- gnificamente da vent’anni e più. Il ministro dell’Economia in questa condizione non può che difendere i saldi di bilancio fino alle dimissioni.
Andando avanti di questo passo il rischio paralisi è più che concreto. Le uniche vie d’uscita sono dunque una nuova, inutile, stagione elettorale dagli esiti incerti e potezialmente disastrosi, o un rilancio dell’azione dell’Esecutivo che spazzi via alibi e condizionamenti.
Proverò a ipotizzare un modo per intraprendere questa seconda strada. Occorre un piano straordinario e di ampio respiro (un piano industriale, si direbbe in un’azienda), che parta dall’unico vero obiettivo in grado di salvare il Paese, far ripartire la crescita attraverso uno shock di competitività.
La politica dei rattoppi ha fatto il suo tempo. Per inquadrare il problema e tro- vare le soluzioni dobbiamo spazzare via i falsi miti e le figure retoriche di una discussione sulla crescita che finora si è dimostrata sterile. La stagione dei tagli lineari della spesa pubblica si è conclusa con un fallimento.
La spesa è aumentata costantemente e l’efficienza delle politiche pubbliche non è migliora- ta. Bisogna prenderne atto e da oggi in poi cambiare approccio, met- tendo al centro dell’azione dei ministri la responsabilità sulla gestione dei propri dicasteri, con obiettivi misurabili e il massimo di trasparenza sul loro raggiungimento.
Deve finire la pessima abitudine per cui i ministri hanno sistematicamente delegato la re- sponsabilità della gestione ai burocrati, concentrandosi solo su nuove iniziative, per un mero ritorno mediatico. Questo percorso di riqualificazione della spesa sarà lungo e difficile, anche perché implica riforme amministrative e, in alcuni casi, costituzionali.
Ciò non vuol dire che non vada urgentemente intrapreso con grande determinazione, perché solo per questa via si può arrivare al vero risanamento, anche etico, del Paese. Secondo punto.
Non ci sarà nes- suna ripresa da agganciare se non metteremo in campo risorse consistenti per gli investimenti e soprattutto per diminuire le tasse su imprese e lavoro.
Confindustria valuta in 10 miliardi il minimo necessario per un taglio del cuneo capace di avere un qualche effetto sull’econo- mia. Credo che questa cifra sia sottostimata.
A ciò aggiungiamo che due dei nostri principali concorrenti (Giappone e Usa) stanno da tempo portando avanti massicci piani di incentivi alla crescita, inondando di denaro il proprio sistema  produttivo.
Nel giro di due anni, non solo l’Italia, ma anche altri paesi d’Europa, si troveranno fuori mercato in termini di competitività.
Le conseguenze saranno particolarmente pesanti da noi, a causa di una base industriale già falcidiata dalla crisi. A quel punto sarà venuto meno il fulcro su cui fare leva per risollevare l’Italia.
Terzo: è sempli- cemente illusorio pensare che in questa situazione il Paese possa rispettare gli impegni presi sulla riduzione del debito.
A situazione invariata il debito continuerà a crescere per inerzia, fino ad arrivare a un punto di non ritorno, di cui ci accorgeremo solo con la prossima crisi finanziaria globale.
Agganciare la ripresa adesso de- ve diventare il nostro unico obiettivo. Per farlo bisogna agire su più fronti e con provvedimenti articolati inseriti in un unico piano coerente, misurabile e credibile.
Inizio dalle proposte più controverse. Oc- corre operare un taglio del cuneo fi- scale e dell’Irap per 20 miliardi di euro. Insieme alle residue coperture da reperire per i provvedimenti già varati dal governo, questo vuol dire aumentare il deficit di circa un punto e mezzo di Pil.
Il rientro di questo deficit in eccesso dovrà es- sere assicurato da tagli di spesa, non lineari, a regime in quattro an- ni e dalla maggior crescita che do- vrebbe derivare dall’abbassamento delle tasse. Sia chiaro, nessun au- mento del deficit potrà essere pro- posto per altro motivo che non sia diminuzione della tassazione su la- voro e imprese.
Lo Stato non dovrà avere in nessun caso la disponibili- tà di altre risorse da sperperare in interventi pubblici improduttivi. Bisogna procedere contestualmen- te all’implementazione del piano “Bancoro”, delineato da Quadrio Curzio e Coltorti, per valorizzare le riserve auree in eccesso di Bankita- lia e ridisegnare l’azionariato del- l’Istituto. Questo piano avrebbe il duplice effetto di ripatrimonializ- zare il sistema bancario, mettendo- lo in grado di riattivare il credito alle imprese, e di generare un signifi- cativo introito per lo Stato da destinare agli investimenti.
Perché questi provvedimenti sia- no presentabili ai nostri finanziatori e all’Europa dovremmo però prevedere altre due iniziative da varare contestualmente: l’emanazione di un decreto legge su concor- renza, liberalizzazioni, semplificazioni e mercato del lavoro, e il trasferimento immediato in un veicolo ad hoc di tutti i beni e le partecipa- zioni pubbliche (locali e nazionali) da dismettere.
Questo piano può essere portato avanti solo se preso nella sua interezza, se condiviso da tutte le forze politiche e sociali e infine cristalliz- zato in un patto di maggioranza.
Se i sindacati si opponessero a una modernizzazione del nostro sistema contrattuale, il piano non po- trebbe vedere la luce. Stessa cosa accadrebbe se gli enti locali rigettassero il percorso di dismissione degli asset in loro possesso. Le tensioni politiche di una grande coalizione possono trovare una composizione solo nell’ambito di un progetto di grande ambizione, la capacità di mediazione non è un collante sufficiente. Senza un sistema paese compatto non potremmo avere dalla nostra parte l’Europa e i mercati, che dovranno sostenere questo piano e coprirci il fianco sul versante del debito. Anche per que- sto ogni retorica antieuropea va bandita. Dire chiaramente che siamo in questa situazione per colpa nostra è la premessa per essere credibili.
Ma se i nostri partner europei fossero tentati di voltarci le spalle, dovremmo farli riflettere sul fatto che di questo passo, prima o poi, saranno obbligati a compiere interventi ben più dolorosi per as- sicurare la tenuta dell’euro. Voglio chiudere con una nota positiva.
L’andamento delle nostre esporta- zioni dimostra che c’è il terreno su cui costruire il rilancio del Paese. Tra mille contraddizioni si è aperta una nuova fase della globalizzazione che riporta la produzione in Oc- cidente e fa crescere i consumi in Oriente. E’ il dividendo di anni di sacrifici. Non c’è un paese che più dell’Italia potrà beneficiarne. Dobbiamo solo tornare a dare valore al- le cose che ci hanno fatto grandi: la- voro, cultura e impresa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 


 

 

 
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