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Gubbio. Festa dei Ceri, una passione ininterrotta dal 1160.

(ASI) Gubbioo - E’ già calata la sera quando le statue dei tre santi tornano in città in processione, accompagnate dai ceraioli che per tutto un anno coltivano l’attesa del 15 maggio per celebrare la radice inscindibile della identità eugubina. Finisce così una giornata intensa, intrisa di sentimenti profondi e passioni irrefrenabili. Dall’alba con i tamburini che svegliano la città, accompagnano il primo e secondo capitano (i capi della città, per un giorno) e i capodieci (coloro che guidano i tre ceri durante la corsa: ogni cero ha il suo) al cimitero per rendere omaggio ai ceraioli che non ci sono più.

Poi, le donne offrono ai ceraioli il mazzolino dei fiori con le erbe e le essenze raccolte sul monte Ingino e, più tardi, alla Chiesetta dei muratori, si svolge la funzione religiosa e si sorteggiano i capitani per due anni dopo: il ruolo di capitano chiede preparazione, organizzazione, impegno anche economico e occorre tempo per affrontarlo.

A fine mattinata, in Piazza Grande, all’ombra dell’austero Palazzo dei Consoli, i ceri vengono messi in posizione orizzontale nel corso della cerimonia dell’alzata, ricca di simbologie e di emozioni. Da quel momento, fino alla sera, le tre macchine lignee vengono portate in giro per le vie della città nella cosiddetta “mostra”. Ogni cero ha i suoi percorsi, le case di vecchi ceraioli o delle loro vedove davanti a cui inchinarsi tre volte in segno di memoria riverente. E tutti gli eugubini, anche quelli che non porteranno il cero nella forsennata corsa della sera, provano in quelle ore l’ebbrezza di stare sotto le stanghe della “barella” , l’intelaiatura di legni che sorregge il cero durante il tragitto.

Poi, nel tardo pomeriggio, quando la processione guidata dal Vescovo arriva in cima a via Dante, dopo la benedizione, i ceri partono e un brivido percorre la città e le sue vie. Un brivido sonoro, un’esplosione di voci che libera l’attesa di un anno. Un’onda che sommerge strade, piazze e vicoli di Gubbio: il giallo di Sant’Ubaldo; l’azzurro di san Giorgio; il nero di Sant’Antonio; e poi i colori uguali per tutti, il rosso dei fazzoletti e delle fasce e il bianco dei pantaloni.

Una corsa che è l’omaggio degli eugubini al loro amatissimo patrono, Sant’Ubaldo, le cui reliquie sono custodite nella basilica in cima al monte Ingino, che sovrasta la città. Un’offerta che si svolge ogni 15 maggio, ininterrottamente dal 1160, anno della morte di Ubaldo. L’iniziale offerta di cera viene sostituita nel sedicesimo secolo dalle tre imponenti strutture lignee giunte, con qualche modifica, fino ai giorni nostri. Le corporazioni gareggiano tra loro per fare l’offerta migliore che, con i ceri lignei, diventa nel tempo la corsa migliore. La corsa migliore è quella senza cadute, quella senza “pendute” (la flessione del cero quando rischia di cadere) quella in cui non si perde terreno rispetto al cero che sta davanti e non ci si fa avvicinare troppo da quello che sta dietro. Si, perché la corsa dei ceri è una corsa anomala. I ceri non si sorpassano, restano sempre nell’ordine dato: davanti Sant’Ubaldo (patrono della città e della Corporazione dei Muratori e Scalpellini) poi san Giorgio (patrono della Corporazione dei Merciari) dietro Sant’Antonio (patrono dei Contadini e degli Studenti). Ma la rivalità tra i ceraioli dei diversi santi si esercita nella passione con cui si porta il cero, nello spirito con cui ci si aiuta tra ceraioli sotto il cero per sostenere lo sforzo immane di portare di corsa, prima per le vie della città e poi su nella corsa fino in cima al monte, la macchina di 5 tonnellate del proprio santo. La festa dei ceri è una festa collettiva: insieme si vive la passione dell’attesa, ci si esalta, si gioisce, si uniscono gli sforzi per far andare al meglio la corsa o ci si rammarica se qualcosa non va per il verso giusto. Non c’è niente di individuale nella festa dei ceri, nemmeno il senso mistico che trasuda da tutti i simboli e i gesti della festa e ne ha fatto il simbolo grafico della regione Umbria, cioè di tutti gli umbri. Un misticismo per niente astratto, ma intrecciato con i segni concreti della terra, come una sublimazione spirituale della quotidianità. Così sono gli umbri, popolo che ha dato al mondo più santi di qualunque altro. Mistici ma legati al quotidiano, al concreto vissuto. La festa dei ceri di Gubbio è anche questo, nell’esaltazione quasi idolatrica per il cero che non è ascetica, ma si incarna, per esempio, nella solidarietà tra ceraioli, pronti a sostenersi al di sopra delle proprie forze in nome dell’ideale comune e a passarsi la bottiglia del vino che allevia la fatica.

E’ già calata la sera, la festa è finita, consumata intensissimamente nello scorrere veloce delle ore di una giornata dall’alba al tramonto. C’è già nostalgia per una giornata vissuta fuori dagli schemi, sopra le righe, ma tutti insieme e tutti allo stesso modo. Da domani ricomincia l’attesa.









foto presa da: www.comune.gubbio.pg.it/

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