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50 anni dalla morte di Enrico Mattei
(ASI) Il 27 ottobre 1962 moriva Enrico Mattei, fondatore e primo Presidente dell’ENI. Il Mauren-Saulnier 760 di fabbricazione francese che avrebbe dovuto riportarlo a Milano da Catania, si schiantò nelle campagne di Bascapé vicino Pavia. Per oltre quarant’anni la versione ufficiale è stata quella del guasto meccanico nonostante le evidenze dessero una lettura dei fatti molto diversa, fino al 2005 quando ne è stata finalmente riconosciuta la natura dolosa senza tuttavia andare oltre. Rimane così uno dei tanti misteri irrisolti della lunga notte italiana nella quale riposano celate le verità di tutto il periodo post bellico fino ai nostri giorni.

A distanza di mezzo secolo appare drammatica l’indifferenza generale davanti alle scomode verità storiche ricostruite con fatica attraverso un impenetrabile muro di gomma, da coraggiosi intellettuali e giornalisti che in alcuni casi hanno pagato con la vita il loro impegno civile. Come Mauro De Mauro, giornalista dell’Ora rapito dalla mafia e mai liberato, o Pier Paolo Pasolini, ucciso il 2 novembre del 1975 e poi ammazzato ancora ogni volta che la macchina del fango ha raccontato e definitivamente archiviato il suo caso come una disgrazia avvenuta nel torbido mondo della prostituzione omosessuale. De Mauro e Pasolini avevano osato raccontare il contesto nel quale era avvenuta la misteriosa morte del grande imprenditore pubblico. Una trama di poteri e interessi che ha influenzato drammaticamente la storia del nostro Paese, oggi tuttavia più facile da de-codificare nonostante i depistaggi e la retorica ufficiale.

E’ triste costatare che la verità, anche quella più sconvolgente, abbia perso ormai la forza di stravolgere la realtà dei fatti, svuotata di vigore da una consapevolezza pubblica anestetizzata: il risultato di una strategia che è diventata cultura, i cui elementi caratterizzanti sono l’indifferenza generale, un dibattito politico surreale e una dialettica generale astratta dal senso pieno delle cose.

Sono passati cinquant’anni dall’omicidio di Enrico Mattei, personaggio chiave delle vicende economiche e politiche non solo italiane; sono passati quasi quarant’anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, regista ma soprattutto critico osservatore e conoscitore della nostra società – e chi se ne frega che fosse omosessuale; il corpo di Mauro de Mauro giace ancora martoriato chi sa dove.

Senza volersi accorgere che la deriva politica e culturale del nostro tempo è racchiusa nel mistero e nell’omertà che circonda tante vicende come queste, derubricate colpevolmente e consapevolmente come appartenenti ad un passato che è invece inquietante presente, l’informazione e il dibattito pubblico “normalizzano” parole come mafia, servizi segreti deviati, terrorismo, eversione. Deformano la visione della realtà, alterando la scala di valori naturali attraverso cui guidare l’azione individuale che ormai non risponde più liberamente agli stimoli. E allora è la miseria di piccoli uomini in giacca e cravatta che arraffano e si accusano a vicenda o le polemiche sterili di un apparato politico fine a se stesso ad orientare la nostra percezione quotidiana, privandoci della piena capacità di autodeterminarci.

Enrico Mattei aveva sfidato l’egemonia delle grandi multinazionali del petrolio legate a doppio filo con un sistema internazionale di potere che a sua volta univa –unisce- servizi segreti, apparati deviati, organizzazioni criminose e para-statali, uomini dello Stato a tutti i livelli. Una realtà parallela e allo stesso tempo parte integrante della moderna società democratica, che in Italia ha trovato, per motivi storici, antropologici e geopolitici, il terreno più fertile dove coltivare le azioni più turpi e infami.

La longevità e la perpetuazione del ceto politico e di parte della classe intellettuale non rendono semplice l’opera di completo disvelamento della verità che rischia di svanire nell’oblio della coscienza nazionale. Sono tanti coloro che non si accontentano di una sua parvenza, ma sono ancora troppi gli indifferenti appagati dalla superficialità delle versioni ufficiali.

 

Fabrizio Torella – Agenzia Stampa Italia

 
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