(ASI) La sentenza depositata dai giudici della corte d'assise di Palermo sulla morte di Mauro De Mauro, giornalista de L'Ora sequestrato e ucciso il 16 settembre 1970, è un piccolo fulmine che dipana in parte la coltre di mistero aleggiante sopra i rapporti tra criminalità e istituzioni.
De Mauro, affermano i magistrati palermitani, è morto "perché si era spinto troppo oltre nella sua ricerca della verità sulle ultime ore di Enrico Mattei, ex presidente dell'Eni, in Sicilia". Una motivazione che è lunga ben 2.200 pagine ed è relativa alla sentenza emessa il 20 giugno del 2011. "La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all'uccisione di Mauro De Mauro - si legge nella motivazione - fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell'incidente aereo di Bascapè, violando un segreto fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l'impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto sugli equilibri politici e sull'immagine stessa delle istituzioni". "La natura e il livello degli interessi in gioco -scrive il giudice Pellino- rilancia l'ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, NdR) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all'epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l'organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli".
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