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“In attesa della primavera” la blogger cubana Yoani Sanchez fa calare il sipario sulla settima edizione del Festival del Giornalismo
(ASI) E' calato il sipario sulla settima edizione del Festival del Giornalismo in una serata di aspre contestazioni che ha visto protagonisti un gruppo di filo castristi e la blogger cubana Yoani Sanchez.

La giornalista è stata bersaglio di una violenta protesta che il Direttore de La Stampa, Mario Calabresi, ha cercato di sedare, richiamandosi ai valori della democrazia e della libertà di espressione, nel doveroso rispetto delle idee degli altri.

Al termine della manifestazione di dissenso, placati gli animi, la Sanchez ha avuto la possibilità di 'svelarsi' ai presenti e di raccontare cosa l'abbia spinta a diventare una giornalista... “Io non mi ero prefissata di diventare giornalista, la vita mi ci ha portato. La realtà mi ha detto raccontami ed io non ho potuto rimanere zitta... Ricordo la Yoani di 17 anni, una ragazza timida, silenziosa, nascosta dietro una maschera di silenzio e simulazione che poi si è trasformata in quella che sono oggi...

Il mio obiettivo era quello di rispondere alla domanda: perché? Perché quella Cuba che mi avevano promesso quando ero bambina non si era concretizzata?...E proprio questo mi ha spinto a creare il mio blog, Generacion Y... il risultato sono una strada di dolore ed una strada si soddisfazione. Sono una cronista della realtà e non un'oppositrice. Appartengo ad una generazione alla quale non sono mai state fatte delle domande!!”

Dopo queste prime dichiarazioni, la stessa Yoani Sanchez ha rilasciato al Direttore de La Stampa la lunga intervista che riportiamo di seguito.

 

Sua sorella tre anni fa ha lasciato Cuba con la famiglia. Suo zio dopo anni di carcere è stato costretto all'esilio. Lei ha perso molte persone care in questo modo... Poi hai vissuto per due anni in Svizzera ma ha scelto di tornare a Cuba. Perché?

“Io vivo a Cuba per decisione, non solo per un caso geografico. Ho avuto l'occasione di emigrare ma ho deciso di tornarvi, perché penso di poter essere utile. Io devo molto alla Svizzera perché la mia serenità deriva da li, ma quando vivevo in quel Paese mi sentivo presente fisicamente ma non mentalmente. Con la testa ricercavo notizie di Cuba e pensavo... con i soldi con cui sto comprando questo vestito quanti giorni potrebbero vivere nella mia terra i  miei genitori? Cosa staranno mangiando i miei parenti all'Avana? Tornare può essere considerata una follia, ma... benedetta follia! Neanche io so spiegarmi perché sono rientrata a Cuba, una miscela di emozioni, sentimenti familiari … ad ogni modo non mi pento, rifarei la mia valigia, perché credo che adesso la mia vita sia più difficile, ma più mia.”

Nel 2005, Lei ha scritto: “Io voglio vivere non fuori Cuba ma in un'altra Cuba”...

“Si, questo l'ho detto ricordando Milan Kundera, uno degli scrittori proibiti a Cuba perché affronta il tema della transizione dei Paesi dell'Europa dell'Est, il controllo dello Stato su quei Paesi nell'epoca del socialismo reale. Ricordo un suo romanzo intitolato 'La vita è altrove', che mi ha ispirato questa frase … per me la vita non era altrove, ma in un'altra Cuba e immaginavo che quell'altra Cuba bisognasse costruirla dall'interno.”

 

Nel lungo viaggio attraverso l'America Latina, il Canada, gli Usa e i vari Paesi Europei Lei ha fotografato soprattutto i dettagli... fiori, cartelli e molte metropolitane. Perché?

“In realtà il maggior numero di scatti li faccio alle scale, perché io ne sono ossessionata, considerando che vivo al quattordicesimo piano di un  palazzo in cui l'ascensore non funziona bene.

Sono anche ossessionata dalle finestre, perché hanno due angoli, quando le si vede da dentro e da fuori e mi affascina questa molteplicità di punti di vista per osservare una stessa cosa... Adesso in questo viaggio mi sto godendo l' interazione del twitter vero... Il giornalismo si sta muovendo verso il minimalismo, alla ricerca dell'essenziale, di ciò che accomuna tutti... Alla fine siamo tutti esseri umani con le nostre diversità e tutti vogliamo più spazio di libertà e di rispetto.”

 

Lei conosce benissimo le tecnologie e ha il pallino dell'informatica. Il primo pc se lo è costruito da sola. Come fa quotidianamente a comunicare?

“Ho avuto la fortuna di ricevere molti insegnamenti da mio padre. Amo i dispositivi tecnologici, nonostante io abbia un diploma di filologa... un giorno mi è venuto in mente di costruire un computer... era un mostro, un Frankenstein con il quale ho creato il mio primo giornale digitale, 'Lettera a lettera'...Da allora ho abbinato le mie due passioni: la letteratura e le tastiere. Sono una nativa digitale autodidatta. Per me la tecnologia è stata una strada di libertà.

La tecnologia non ha etica, può servire per liberare o per reprimere, può essere utilizzata per dire la verità o per mentire, per aiutare un cittadino a proiettare la propria voce o per schiacciare dal punto di vista mediatico lo stesso cittadino mediante la diffamazione e il peso della menzogna.”

 

Cosa è cambiato a Cuba nella vita quotidiana con il passaggio dal governo di Fidel a quello del fratello Raul?

“Mi colpisce sempre come il verbo cambiare possa avere varie interpretazioni. Penso che a Cuba il cambiamento vero si stia verificando all'interno dei cittadini, ma non per volontà del governo. Semplicemente perché la situazione non è più sostenibile. Percepisco qualche differenza tra i due fratelli, ma sono molto critica nel valutare ciò. Il governo di Raul che, ufficialmente, è iniziato nel febbraio del 2008 ma che già dal luglio del 2006 era subentrato alla presidenza interinale, ha un peccato originale: non è stato eletto. Raul ha ereditato il potere per questioni di sangue. Il suo cambiamento sembra avere la caratteristica di mera accettazione di ciò che non si può impedire...

Io non sono un'analista politica ma una semplice cronista che si avvale di strumenti tecnologici. Non ho mai militato, penso che militanza e giornalismo non si possano conciliare.”

 

Lei aveva quindici anni quando è caduto il muro di Berlino e ciò per Cuba ha significato il venir meno degli aiuti che arrivavano dal blocco sovietico. Le immagini della caduta le ha viste solo nel 2000 perché per molti anni la storia a Cuba arrivava in differita … La sensazione è che oggi questo tempo si sia ristretto …

“All'epoca un'adolescente come me impiegava più di dieci anni per vedere immagini che altrove arrivavano in diretta o con poche ore di scarto.

Oggi i cambiamenti che scendono dall'alto ma salgono dal basso, coinvolgono i cittadini di Cuba e, ogni volta, per il governo è sempre più difficile mantenere il monopolio dell'informazione. Noi cubani siamo abili e ingegnosi nel procurarci ciò che è razionato o proibito ..  a partire dalla ricerca del latte, di uova, olio sul mercato clandestino. Adesso stiamo adottando la stessa linea per la ricerca delle informazioni. Vi sono sempre più reti clandestine. Oggi il governo sa che la gente sa …  si sta sviluppando una vera e propria rivoluzione digitale.”

Pensa che la scomparsa di Chavez possa cambiare qualcosa a Cuba, considerando che il venezuelano ne era un gran sostenitore?

“Quando mi sono laureata ho scritto una tesi sul romanzo La letteratura dei dittatori nell'America Latina , dove si ricercava un po' la figura del capetto che ha la pretesa di poter interpretare il pensiero dei propri concittadini e che si sente il salvatore della nazione... credo che i modelli costruiti da questi uomini siano fatti a loro immagine e somiglianza, non c'è Chavismo senza Chavez o Castrismo senza i Castro. Non penso che questi modelli sopravviveranno a lungo.

A Cuba ci sono due grandi correnti: da una parte vi è molta preoccupazione, perché non è un segreto per nessuno che il sistema si sostenga grazie alle sovvenzioni venezuelane. E' triste che la sovranità del mio Paese dipenda da fattori esterni e si teme che, venendo a mancare questi aiuti, si possa tornare al collasso. Dall'altra parte, molti credono che solo quando il governo sentirà la mancanza di queste sovvenzioni, prenderà seri provvedimenti e approfondirà le riforme. Dove ci vogliono portare? Un Paese in cui magari potremo mangiare una pizza per strada ma non esprimerci liberamente o iscriverci nel partito che ci piace. Questo modello verso il quale ci vuole portare Raul Castro non mi piace per niente.”

 

Maria Vera Valastro- Agenzia Stampa Italia
 
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