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Usa, reti internet segrete per incoraggiare rivolte

(ASI) Sul fronte della politica interna Obama ha oggi le sue gatte da pelare. Si registrano, infatti, dure prese di posizione del Senato americano nei confronti dell’amministrazione democratica: aspre critiche giungono per aver agito in Libia senza prima consultare il Congresso, oltre alla richiesta di un ritiro delle truppe dall’Afghanistan a ritmi sostenuti ma già a partire dal mese prossimo.

Se ne ricava una sempre più diffusa insofferenza interna (che non è solo politica, ma anche civile) verso le missioni militari, un malessere pernicioso con il quale l’amministrazione Obama ha l’obbligo di confrontarsi. Far smettere i panni dello “sceriffo del pianeta” allo zio Sam, tuttavia, non sembra essere la ricetta che l’amministrazione democratica sta contemplando. Piuttosto, si preferisce attuarne una versione più edulcorata, adatta alle esigenze del momento: favorire l’esportazione di democrazia attraverso internet, facendo così riporre allo sceriffo la pistola nella fondina. La cosiddetta “primavera araba” - compiuta da rivoltosi che si sono avvalsi delle potenzialità di blog e social network per veicolare ad ogni latitudine il loro dissenso - giunge come una lezione in tal senso che oltreoceano evidentemente stanno cogliendo.

Da quanto rivela la prima pagina del New York Times, la Casa Bianca è impegnata a creare reti e circuiti tecnologici “fantasma” - sia internet che telefonici - da concedere ai dissidenti dei regimi invisi agli Usa per facilitarne le comunicazioni. Il laboratorio in cui un nutrito gruppo di hacker informatici sta lavorando alacremente a questo scopo è situato al quinto piano di un palazzo amministrativo sulla “L” street, a Washington. E’ in un luogo come questo, apparentemente anonimo, che sta sviluppandosi la nuova stagione della politica estera americana. La paternità del programma va ricondotta direttamente al Dipartimento di Stato e al suo capo Hilary Clinton, disposta ad investire una cifra che oscilla tra i 50 e i 70 milioni di dollari affinché la “Liberation Tecnology” - questo il sensazionalistico nome coniato per il programma - possa assolvere con profitto il suo compito, che consiste nell’atavico cruccio statunitense di esportare democrazia. E’ stata proprio Hilary Clinton ad annunciare, di fatto, il nuovo corso virtuale che gli Usa stanno intraprendendo per penetrare più subdolamente negli affari di politica interna altrui: “'In giro nel mondo - ha spiegato l'ex first lady - vediamo ogni giorno sempre più persone usare Internet, la telefonia mobile e le altre tecnologie, per dare più forza alla loro voce e alle loro proteste contro l'ingiustizia, e per realizzare le proprie speranze di libertà e democrazia. Siamo di fronte a un'opportunità storica per gli Stati Uniti di cambiare il suo concetto di aiuto. L'America è concentrata ad aiutare questa forma di dialogo delle persone tra di loro, delle loro comunità e dei loro governi con il resto del mondo”.

Affidarsi per l’importante gestione degli affari esteri al mondo virtuale, un contesto in cui regna spesso l’inattendibilità e latita il discernimento delle notizie da elargire (la vicenda della finta blogger siriana Amina Arraf è l’ultimo esempio in tal senso), rischia di far scivolare definitivamente la politica in una dimensione di mero spettacolo, utile solo agli attori che da essa traggono sostentamento. Questo caotico spettacolo di finzione mina l’opinione pubblica, la quale, perdendo la propria capacità critica e la libertà di scelta, cede alla fin fine a una crescente indifferenza nei confronti della politica.

 
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