Eclissato il centrosinistra, si spacca il Paese in due tra centrodestra e M5S. Il Nord chiede sicurezza e meno tasse, il Sud reddito e trasparenza
elezioni politiche voto per corrispondenza(ASI) Con l'affermazione della Lega all'interno della coalizione di centrodestra, gli equilibri del passato mutano radicalmente. La forza propulsiva messa in moto da Matteo Salvini, che nel 2013 aveva preso in mano un partito ridotto ai minimi termini, ha saputo portare l'emblema di Alberto Da Giussano sulle schede degli elettori del Sud, sfondando anche in quelle regioni centrali dove la Lega Nord, sebbene già attiva dagli anni Novanta, non si era mai seriamente radicata sul territorio prima delle Regionali del 2015.
I buoni risultati ottenuti dalla Lega in aree del Paese finora quasi del tutto inesplorate come la Sardegna o il Lazio non devono tuttavia trarre in inganno. Il 18% che, in attesa di conferma, Salvini pare aver ottenuto a livello nazionale si è fortemente concentrato nel Centro-Nord del Paese, con picchi importanti in collegi non facili come Piacenza, Parma, Fidenza, Ferrara, Lucca, Massa, Grosseto e addirittura nell'intera Umbria, dove il centrodestra ha clamorosamente vinto tutti e cinque i collegi uninominali per Camera e Senato, da Perugia a Terni, passando per Città di Castello e Foligno. Al Sud è stato invece il Movimento 5 Stelle a segnare un vero e proprio exploit politico, toccando percentuali altissime, come negli emblematici collegi uninominali di Acerra, dove il leader Luigi di Maio ha raggiunto il 63,41%, e Napoli-Ponticelli, dove Rina De Lorenzo ha ottenuto il 62,09% dei consensi.
Tranne il Lazio, in pratica, tutte le altre regioni del Centro-Sud, inglobando anche le Marche, sono finite in mano al movimento fondato da Grillo e Casaleggio. Si tratta indubbiamente di un segnale forte che arriva dal Mezzogiorno dove presumibilmente cresce, specie da parte dei più giovani, il malcontento per una corruzione endemica in molti comprensori e per i gravi ritardi industriali ed infrastrutturali, ormai percepiti come inaccettabili da tanti ragazzi e ragazze costretti a studiare o lavorare nel Nord Italia. D'altra parte, però, potrebbe aver giocato un suo ruolo l'illusione generata da uno dei punti più chiacchierati del programma del Movimento 5 Stelle, ovvero l'introduzione del reddito di cittadinanza, visto - a torto - come l'unica soluzione possibile alla disoccupazione che colpisce molte aree del Paese e, in questo caso, del Sud. Se questo sospetto, condiviso da molti, fosse confermato, ci troveremmo di fronte ad un grave fenomeno di approssimazione politica, ignaro non solo e non tanto della tenuta dei conti pubblici, quanto piuttosto della tremenda spirale che innescherebbe, scavando definitivamente un solco tra Nord e Sud Italia.
Di contro, significativa è stata la decisione dell'elettorato del Nord - comprese Umbria e Toscana - di scegliere prevalentemente in base agli schemi consolidati della Seconda Repubblica, cioè centrodestra contro centrosinistra, relegando il M5S al ruolo di terzo incomodo o di antagonista ampiamente distaccato e mai di leader o, comunque, di serio competitor rispetto al centrodestra, nella stragrande maggioranza dei casi, o al centrosinistra in collegi "sicuri" come Bolzano, Firenze, Bologna, Modena o Reggio Emilia, dove Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, Pierferdinando Casini, Beatrice Lorenzin e Graziano Delrio sono stati rispettivamente eletti senza problemi, come da previsione.
Scorporando dal restante territorio regionale marchigiano il collegio uninominale per la Camera di Macerata, finito con discreto margine al centrodestra, l'insieme delle aree più produttive ed industrializzate del Paese non ha dunque ritenuto sufficientemente credibile la proposta dei Cinque Stelle probabilmente per due ragioni: da un lato, la poca chiarezza riguardo l'immigrazione clandestina specie se confrontata con i programmi di rimpatrio annunciati da Salvini, Berlusconi e dal candidato alla Presidenza della Lombardia Attilio Fontana, vincitore pressoché certo della tornata regionale; dall'altro lato, l'elevata pressione fiscale sulle imprese che i governi Renzi e Gentiloni non sono stati in grado di ridurre in modo significativo e su cui il M5S non propone soluzioni concrete e immediate come la Flat Tax indicata da Salvini e Berlusconi. Nelle circoscrizioni di Lombardia e Veneto, dove i grillini raggiungono a malapena picchi massimi del 25%, non c'è stata nemmeno partita. In Piemonte, dove il Movimento ha in mano l'amministrazione del capoluogo, Torino, la situazione per il partito di Di Maio è leggermente migliore ma quasi mai tale (ad eccezione dell'uninominale per la Camera di Collegno) da mettere in discussione il primato del centrodestra nella gran parte dei collegi della regione. In Liguria, soltanto due collegi uninominali per la Camera dell'area metropolitana di Genova (Sestri Ponente e San Fruttuoso) vanno ai grillini, mentre tutto il resto della regione, incluso il collegio uninominale Genova-Rapallo, va al centrodestra. In Friuli-Venezia Giulia, il centrodestra fa cappotto prendendosi tutti i collegi uninominali per Camera e Senato con percentuali abbastanza ampie.
In attesa dei dati definitivi, compresi quelli relativi al voto all'estero, della successiva ripartizione dei seggi sia alla Camera che al Senato e dei possibili "spostamenti" ad inizio legislatura di deputati e senatori, le ipotesi che si rincorrono sono molte. Ci si dovrà ovviamente affidare al ruolo di garanzia del presidente della Repubblica, ma al momento, stando ai numeri, l'unica compagine che potrebbe avere le carte in regola per governare è quella di centrodestra. Si tratta di una coalizione che, come visto all'inizio, si compone di equilibri quasi del tutto rovesciati rispetto ad edizioni del passato come il Polo o la Casa delle Libertà. Dal voto di ieri, Forza Italia esce notevolmente ridimensionata, pur tenendo un po' ovunque da Nord a Sud, mentre Fratelli d'Italia, erede della vecchia Alleanza Nazionale, non raggiunge nemmeno il 5% dei consensi e soffre la forza dirompente della Lega persino nei collegi di Roma Capitale, dove Giorgia Meloni avrebbe potuto fare di più. Ancor più piccolo il contributo di Noi per l'Italia - UDC, la "quarta gamba" moderata del centrodestra, che paga l'improvvisazione con cui è stata ricreata cercando di riesumare un'area centrista pesantemente dilaniata dall'esperienza montiana di Scelta Civica e da quella alfaniana di NCD - Alleanza Popolare.
La trazione salviniana della coalizione metterà al centro dell'eventuale azione di governo l'agenda leghista, cui Forza Italia si era già malcelatamente adattata negli ultimi mesi, facendo della cancellazione della Legge Fornero, dell'introduzione della Flat Tax, della rinegoziazione di alcuni vincoli europei, del rimpatrio programmato dei clandestini giunti in Italia e del ritiro dalle sanzioni commerciali contro la Russia i punti fermi di un potenziale esecutivo di centrodestra. Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno già specificato che non esiste altra possibilità di formare una maggioranza all'infuori di questo perimetro, mentre si attende la conferenza stampa di Silvio Berlusconi che dovrebbe confermare questa prospettiva, come anticipato anche da Renato Brunetta (FI). Dall'altra parte, il M5S è nato e si è affermato come forza di rottura totale con centrodestra e centrosinistra, costruendo il proprio successo elettorale anche su questa immagine di partito incompromesso e solitario. Un'arma a doppio taglio per effetto della quale, qualsiasi apparentamento a livello nazionale con altri partiti tradizionali, rischierebbe di eroderne il consenso già a partire dalle amministrative del prossimo anno.
Da qui al 23 marzo, insomma, regnerà l'incertezza con un'unica solida potenziale prospettiva di stabilità. Tutte le altre ipotesi di formare una maggioranza, comprensive del PD o del M5S, si configurerebbero al di fuori del mandato elettorale dei cittadini, specie se a guidare i Dem non sarà più, come appare sempre più probabile, lo sconfitto Matteo Renzi.
 
 
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia
 

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