L’esistenza della biodiversità è dunque un assunto dal quale non si può prescindere. Un certo tipo di intervento umano, tuttavia, cinico e superbo, finalizzato al solo soddisfacimento egoistico ed estemporaneo, contribuisce ad un appiattimento che si rivela come una minaccia di rozza omologazione alla bellezza del creato.
È poco noto che l’Italia vanta un’importante sede nel suo genere, la Banca del Germoplasma di Bari. Un’eccellenza, tra le prime dieci al mondo per dimensioni e qualità, che consente di conservare un vero e proprio patrimonio genetico, di vitale interesse per l’agricoltura italiana e mediterranea. Questo tesoro di biodiversità sta però finendo dilapidato, a causa dell’incuria e della brama di danaro. La storia triste della Banca del Germoplasma di Bari è semisconosciuta dall’opinione pubblica. Ne parliamo con il Professor Pietro Perrino, che ne è stato direttore fino al 2002, e che oggi si batte per non lasciar scivolare nell’oblio questa vicenda.
Professor Perrino, ci spieghi precisamente cos’è una banca del germoplasma…
Una banca di germoplasma vegetale, spesso chiamata anche banca genetica o banca di semi, è una vera e propria banca di semi di piante coltivate e di specie selvatiche affini, vale a dire di specie non coltivate ma strettamente imparentate con quelle coltivate e con le quali, in particolari condizioni ambientali, naturali o indotte dall’uomo, si possono scambiare materiale genetico (geni o pezzi di DNA), fenomeno conosciuto anche come flusso genico, che si può verificare in entrambe le direzioni (dal selvatico al coltivato e viceversa). In entrambi i casi si tratta di semi di piante minacciate da erosione genetica (perdita di biodiversità) o da estinzione (scomparsa della specie). Si tratta cioè di risorse genetiche che, se non sono reperite e conservate adeguatamente, rischiano di scomparire e quindi di privare l’umanità di risorse importanti per l’agricoltura attuale e futura. Infatti, esse rappresentano la materia prima da usare come tale o attraverso pratiche di miglioramento genetico pre e post mendeliano (incrocio e selezione) per risolvere problemi di produzione, qualità e resistenza a patogeni (stress biotico) o ad avversità ambientali (stress abiotico), nonché di adattamento ai cambiamenti climatici. In conclusione, una banca di germoplasma è una banca che conserva risorse genetiche vegetali non più facilmente reperibili nei campi coltivati o in natura o, anche se ancora reperibili, minacciate da erosione genetica o estinzione.
Quando ci si accorge della necessità di creare delle banche del germoplasma?
Le banche del germoplasma sono nate per la maggior parte negli anni Sessanta. Cioè quando studiosi e istituzioni nazionali ed internazionali incominciano ad accorgersi che la Rivoluzione Verde (processo di innovazione agricola basato sull’accoppiamento di varietà vegetali, ndr), iniziata negli anni Quaranta, inizia a provocare erosione genetica, vale a dire perdita di biodiversità nei campi coltivati accompagnata dalla scomparsa di antiche varietà. Un fenomeno che diventa sempre più evidente negli anni Sessanta, quando nella mente degli studiosi si accende una lampadina che suggerisce di correre ai ripari e di fare qualcosa per salvare il salvabile, cioè quello che era rimasto dopo gli effetti devastanti della Rivoluzione Verde. Studiosi e istituzioni iniziarono a suggerire ai governi dei diversi Paesi, soprattutto del mondo sviluppato, industriale o del cosiddetto Nord, la creazione di banche di germoplasma, con l’obiettivo di reperire, moltiplicare, conservare e utilizzare, risorse minacciate da erosione genetica. Oggi, nel mondo, ci sono 1750 banche di germoplasma, che complessivamente conservano oltre 7 milioni di campioni di germoplasma, che comprendono semi e piante di oltre 27 mila specie minacciate da erosione genetica.
Qual è la sua opinione sul funzionamento di queste banche?
Hanno funzionato un po’ all’inizio, ma proprio quando avrebbero manifestato tutto il loro potenziale è arrivata la seconda Rivoluzione Verde, cioè quella degli Ogm, che sono in competizione con le banche di germoplasma. Sono in competizione perché gli Ogm sono creati in modo tale da non avere bisogno delle risorse genetiche conservate nelle banche di germoplasma. Siccome gli Ogm sono creati dalle multinazionali e queste hanno il potere di pilotare i governi e i finanziamenti alla ricerca, le banche di germoplasma, con l’avvento degli Ogm, hanno iniziato a soffrire per mancanza di fondi e più in generale di attenzioni da parte dei governi e quindi della collettività e delle associazioni di categoria, ciascuna delle quali si preoccupa più di rimpinguare le proprie casse che quelle delle banche di germoplasma. Per esempio, le associazioni di agricoltura biologica concentrano gli sforzi a come competere con gli Ogm, sostenendo che gli Ogm fanno male alla salute e ad aumentare i prezzi dei prodotti biologici, ignorando completamente la problematica delle banche di germoplasma. Ergo, l’obiettivo delle associazioni di agricoltura biologica è quello di competere con le multinazionali per motivi economici e non per difendere la biodiversità o le banche di germoplasma, anche se sfruttano l’argomento della biodiversità e delle banche di germoplasma strumentalmente per contrastare le multinazionali. Di fatto, almeno in Italia, nessuna delle associazioni che si occupano di agricoltura biologica o di consumi alimentari e salute è corsa in aiuto alla Banca del germoplasma del CNR di Bari, pur conoscendo la situazione in cui versa. In conclusione, per rispondere alla domanda se le banche di germoplasma funzionano o no, la risposta è che la maggior parte delle banche di germoplasma sta soffrendo per carenze di finanziamenti, ma soprattutto di interesse per le risorse genetiche in esse conservate. In Italia, i dipendenti della Banca di Germoplasma hanno trovato il coraggio di denunciare, ma all’estero? A tutto questo discorso sulle banche di germoplasma fanno eccezione 11 dei 15 centri del CGIAR (Gruppo Consultativo sulla Ricerca Agricola Internazionale) che sono delle vere e proprie banche di germoplasma, che conservano 650.000 accessioni di piante agrarie, foraggiere e forestali. Si tratta di centri internazionali finanziati da Paesi sviluppati e pertanto privilegiati rispetto alle banche genetiche nazionali. Fa ancora eccezione la recentissima Banca Genetica di Svalbard (Svalbard Global Seed Vault, situata sull’isola norvegese di Spitsbergen, e ufficialmente aperta il 26 febbraio 2008), in quanto è finanziata dalle grandi compagnie. Questa banca ha chiesto o proposto ai diversi Paesi detentori di risorse genetiche vegetali (in pratica ai paesi sedi di Banche Genetiche) di conservare un campione delle loro risorse nella banca di Svalbard (definita anche Arca dell’Agricoltura). È una delle altre trovate per continuare a drenare risorse da Paesi meno sviluppati (ma ricchi di risorse) a Paesi più sviluppati, già debitori (ecologicamente parlando) nei confronti dei Paesi meno sviluppati. Ma è anche una strategia per trasferire il controllo del germoplasma di tutte le banche alle multinazionali. In conclusione, le multinazionali degli Ogm per vincere la concorrenza delle banche di germoplasma o le fanno soffrire o cercano di appropriarsi delle loro risorse trasferendole in luoghi che possono controllare. Non si sa mai. Un giorno, quando gli Ogm non serviranno più, le risorse genetiche conservate nelle banche di germoplasma potrebbero ritornare ad essere utili. Credo di esser stato chiaro.
Ritiene che la seconda Rivoluzione Verde, negli anni Novanta, sia stata ancora più dannosa della prima?
La seconda Rivoluzione Verde inizia, negli anni Novanta, con la diffusione degli Ogm. Cioè quando le multinazionali, dopo un ventennio di investimenti nella ricerca dell’ingegneria genetica, iniziarono concretamente a introdurre in agricoltura le prime piante transgeniche. L’ondata di piante transgeniche ha significato un ulteriore perdita di biodiversità nei campi coltivati. Perdita che abbiamo chiamato erosione genetica. Ma il danno che si provoca con gli Ogm è ancora maggiore, perché l’entità di erosione genetica è ancora più forte. Basti pensare, per esempio, al fatto che in un campo di mais transgenico Ogm, tutte le piante, mille o un milione o un miliardo, sono tutte identiche perché provengono tutte da una sola cellula geneticamente modificata o ingegnerizzata in laboratorio. Un campo di mais Ogm è quindi estremamente omogeneo e quindi vulnerabile a tutte le avversità. Infatti, non è vero che le piante Ogm non hanno bisogno di trattamenti con fitofarmaci, in quanto dopo qualche anno si assiste allo sviluppo di super parassiti, che bisogna fare fuori con più fitofarmaci o nuovi fitofarmaci. Pertanto, l’idea che gli Ogm possano risolvere il problema della fame nel mondo è solo una bella favola, ma nessuno crede più al ciuco che vola. Purtroppo, il danno degli Ogm non si ferma qui e cioè che non risolvono il problema delle produzioni, ma gli Ogm, come già detto, è che sono nocivi per la salute dell’uomo e degli animali, nonché dell’ambiente, in quanto il Dna transgenico entra nel genoma di piante coltivate e selvatiche, inquinandole, e quindi causando danni di salute anche a chi non compra e apparentemente non consuma cibi etichettati Ogm. Inoltre, il Dna transgenico si diffonde nelle acque superficiali e profonde e nell’aria. Ergo, il Dna transgenico ce lo possiamo anche bere o respirare. È dunque chiaro che ci dovremmo opporre alla coltivazione degli Ogm ovunque e non solo nella nostra regione o nel nostro paese.
Queste cose le sto gridando da anni in Italia e purtroppo non mi sembra di essere adeguatamente sostenuto anche da parte di chi come me è contro gli Ogm. In conclusione, il danno all’agricoltura causato dagli Ogm è ancora più grande di quello delle varietà ottenute con le tecniche tradizionali (incroci e selezione, lasciando da parte le mutazioni indotte). Inoltre, l’introduzione in agricoltura degli Ogm significherebbe causare danni irreversibili e dimostrare che l’uomo non ha imparato nulla dagli errori della prima Rivoluzione Verde.
Mi pare di capire che, secondo lei, l’uniformità genetica in agricoltura rappresenti una sorta di anticamera dell’estinzione. È così?
Sì, è proprio così. L’evoluzione degli organismi viventi sulla Terra è garantita dalla diversità biologica esistente tra ed entro le specie. Se c’è diversità ci sono possibilità di sviluppare adattamento delle specie e quindi possibilità di sopravvivenza. In mancanza di diversità, le probabilità di estinzione aumentano. Nel caso specifico delle colture, la diffusione di colture caratterizzate da piante molto simili tra di loro e quindi di colture geneticamente molto omogenee rappresenta un problema non tanto di estinzione ma di vulnerabilità delle colture alle avversità biotiche (per es. i patogeni) e abiotiche (per esempio scarsità d’acqua e cambiamenti climatici), mentre la diversità genetica oltre ad evitare l’erosione genetica e/o estinzione, conferisce resistenza a tali avversità. L’uniformità è sinonimo di vulnerabilità e la biodiversità è sinonimo di resistenza. La Rivoluzione Verde iniziata negli anni Quaranta ha comportato una riduzione della biodiversità e un aumento dell’uniformità genetica nei campi coltivati, offrendo ai patogeni maggiori possibilità di attaccare le colture. Questo fenomeno dell’erosione genetica nei campi, accanto a un’eccessiva meccanizzazione o industrializzazione dell’agricoltura, che ha comportato anche un uso eccessivo di fitofarmaci, ha promosso la comparsa di nuovi ceppi di patogeni più virulenti e sempre più difficili da controllare. Le conseguenze disastrose della diffusione dell’uniformità genetica delle colture sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo, gli effetti di questi disastri sono più evidenti in tempi medio lunghi. Ma ormai, dopo quasi un ventennio di uso di piante transgeniche, gli effetti negativi sono abbastanza evidenti per poterli negare. In conclusione, l’uniformità è causa di danni all’agricoltura, all’economia e anche alla salute, se si considera che i prodotti dell’agricoltura industriale oltre ad essere uniformi sono vuoti e inquinati. A ciò si aggiunga poi che gli Ogm causano tumori e cancri.
Le banche del germoplasma, tutelando la biodiversità, hanno dunque una fondamentale funzione. Come mai quella di Bari è stata chiusa?
La Banca del Germoplasma del CNR di Bari non è stata chiusa, anche se il fatto che non funziona è come se fosse stata chiusa. In realtà, quello che è successo è che per incuria dei responsabili, nel 2003, la vitalità dei semi conservati è stata messa a rischio e non si è fatto niente per riparare il danno. Spiego meglio. Nel 2003 il direttore dell’Istituto di Genetica Vegetale (IGV) del CNR di Bari, istituto che nel 2002, in seguito alla ristrutturazione del CNR, assorbì l’ex Istituto del Germoplasma di Bari, ancor detto Banca del Germoplasma o Gene Bank, non riparò gli impianti del freddo delle camere di conservazione dei semi, motivo per cui le temperature delle camere salirono molto al disopra di quelle standard e questa situazione si protrasse nel tempo per diversi mesi. Ciò provocò un danno ai semi, consistente in un abbassamento della percentuale della vitalità dei semi e conseguente perdita di variabilità genetica. Il Pubblico Ministero (PM), dott. Marco Dinapoli, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, sequestrò gli impianti e le camere di conservazione, per riparare gli impianti e accertare la consistenza del danno. Cose che fece con la collaborazione del suo Consulente Tecnico, Prof. Andrea Filippetti, e del suo custode giudiziario, Professor Pietro Perrino. Il Consulente accertò il danno attraverso una sperimentazione di laboratorio e di campo durata 3-4 anni, mentre il custode riparò subito gli impianti del freddo e mise i semi in sicurezza, nel senso che i semi furono conservati nuovamente alle temperature ed umidità standard, ma il danno provocato non poteva e non potrà mai più essere riparato. Quello che si può fare, invece, e che non si sta facendo, è di rigenerare i semi che sono sopravvissuti alle alte temperature. Questi semi anche se non morti hanno comunque subito un danno di invecchiamento e quindi, se non rigenerati immediatamente, cesseranno di vivere e il danno provocato dalla mancata riparazione degli impianti sarà ancora maggiore. Per rendere meglio il concetto, faccio un paragone. Se 100 persone partono per attraversare un deserto e alla fine solo 30 riescono ad attraversarlo, non è che queste persone sono in buona salute o sono nelle stesse condizioni di come lo erano prima di attraversare il deserto. Sicuramente avranno bisogno di assistenza medica se vogliono essere sicuri di farcela e di non morire. Allo stesso modo i semi sopravvissuti hanno bisogno di assistenza, e cioè si essere rigenerati, che significa di essere seminati e moltiplicati. Ecco perché, nel 2010, il PM, dopo aver accertato il danno, dissequestrò il germoplasma, ma nel decreto di dissequestro scriveva numerose prescrizioni, tra cui quella di provvedere alla immediata rigenerazione dei semi. Cosa che non si è fatta e non si sta facendo, perché il direttore dell’IGV afferma che non ci sono problemi (mentendo).
Quali provvedimenti ha adottato la magistratura a seguito della chiusura della Banca del Germoplasma di Bari?
Il direttore dell’IGV non salva i semi e anzi, dice che non ci sono problemi. Lo fa anche perché la nuova autorità giudiziaria rappresentata dal PM, dott. Pasquale Drago, e dal Gip, dott. Antonio Lovecchio, hanno archiviato il processo dichiarando che non c’è dolo e non c’è danno. Così è scritto nel decreto di archiviazione. In particolare, per quanto riguarda il danno è scritto che non c’è danno perché il germoplasma non è equiparabile a un prodotto medicinale. Dopo di che, lascio al lettore giudicare l’operato dei gestori della giustizia. Un’altra stranezza è: perché la precedente autorità giudiziaria dava importanza al germoplasma e la nuova boccia tutto il suo operato? Chi ha ragione? Stranamente nel momento in cui la precedente autorità giudiziaria doveva concludere il processo sul germoplasma è stata promossa e trasferita ad un’altra Procura e sostituita da una nuova autorità che nei confronti del germoplasma ha un atteggiamento diametralmente opposto. Credo che non ci siano dubbi che il germoplasma è importante per l’agricoltura, ma per l’attuale autorità giudiziaria se qualcuno lo distrugge non commette alcun delitto, perché non è un prodotto medicinale. E quindi, secondo il PM, se tutto il germoplasma conservato nelle 1750 banche di germoplasma morisse, non ci sarebbe alcun danno. A questo punto è normale chiedersi perché la collettività scientifica ha creato le banche di germoplasma. Perché sono sati spesi miliardi di dollari? Perché si spendono tanti denari per progetti sul germoplasma? Perché si tengono tante conferenze sulla biodiversità? È o non è evidente che la lobby degli Ogm è riuscita a influenzare il sistema che ci governa? Un patrimonio dell’umanità sta morendo e nessuno interviene.
Da questa piacevole chiacchierata evinco, Professor Perrino, che la franchezza non le fa difetto. Allora le chiedo, in ultimo, di fare il nome dei nemici dell’agricoltura tradizionale.
Ritengo che la risposta sia contenuta nelle precedenti risposte, ma colgo l’occasione per ribadire che tutto ruota intorno a un giro d’affari delle multinazionali che, come sappiamo, vogliono piazzare a tutti i costi i loro prodotti e in particolare i semi Ogm. Dopo quanto espresso, lo capirebbe anche un bambino che le banche genetiche, in quanto serbatoi di risorse genetiche naturali, rappresentino un grosso ostacolo. È chiaro quindi che le multinazionali con la collaborazione, conscia o inconscia, delle lobby a favore degli Ogm cerchino di distruggere o rendere inefficienti le banche genetiche e, quando possono, cercano di trasferire il germoplasma in banche che possono controllare, tipo quelle del CGIAR o di Svalbard. Se avessimo dei governi più attenti, più informati e più onesti, non ci sarebbe nessun problema per la Banca del Germoplasma di Bari, come non ci sarebbe per tutte le altre banche genetiche sparse nel mondo. Personalmente, ho fatto di tutto per informare il pubblico e la comunità scientifica, ma non si muove foglia. Perché? Ritengo che la risposta sia sempre la stessa. Domina il potere delle multinazionali, come in molti altri settori, la cosa è resa possibile anche dal fatto che ciascuna istituzione (piccola o grande, singola persona o associazioni di persone) si preoccupa soprattutto di salvare se stessa e quindi di non rompere equilibri che potrebbero compromettere la propria esistenza o il proprio prestigio. I semi, anche se patrimonio dell’umanità, possono anche morire, per le istituzioni ci sono altre priorità più importanti. Tra l’altro, i semi non parlano e non votano. Ma per chi ci crede, la speranza di parlare per loro e di salvarli non muore mai. Speriamo che la storia del nostro Paese cambi e che le prossime elezioni siano foriere di buone prospettive per le banche genetiche.
Federico Cenci – Agenzia Stampa Italia