(ASI) Figli scambiati alla nascita. Ci sono tante storie nel cinema, ma toccare fino in fondo tutte le problematiche giuridiche, sociali e culturali può far diventare una pellicola un’accozzaglia di luoghi comuni. Se poi ci si aggiunge sullo sfondo il conflitto arabo-israeliano il rischio diventa forte. Ma il regista Lorraine Lévy con il suo film centra pienamente il suo obiettivo e ci dà la precisa dimensione del dramma. Il 18 gennaio 1991 vengono scambiati due bambini l’ebreo Joseph e il palestinese Yacine. Uno figlio di ebrei ricchi, un colonnello dell’esercito l’altro figlio di un ingegner costretto a fare il meccanico perché non ha diritto al lavoro in Israele dovranno fare i conti l’uno con la vita dell’altro.
Due madri accomunate dall’amore consolidato nel tempo e l’istinto naturale materno, i padri messi alla prova con questa difficilissimo scherzo del destino e due comunità in conflitto segnate da questo legame travagliato. Un legame assurdo diventa anche il presupposto di un’amicizia fraterna, che unisce e manda un bellissimo messaggio di fratellanza a dispetto di principi religiosi, leggi e usanze che spesso fanno perdere la vera identità di un essere umano. Prova superlativa del regista che non cade mai nella banalità, nel melenso, ma con precisione chirurgica tiene lo spettatore nel dramma, permettendogli di penetrare alle radici del problema e di commuoverlo in certe scene, che vanno molto aldilà di un normale film. Ottima anche la scelta di un finale apertissimo, ma con un velo di speranza. Il figlio dell’altra non ha fatto molto rumore al momento, ma è una pellicola di primo ordine che può lasciare un forte segno nella storia della cinematografia.
Voto: 9
Daniele Corvi - Agenzia Stampa Italia