(ASI) Brasile- Gli avevano regalato un super attico di tre piani con piscina e terrazza vista mare, invece l’ex presidente del Brasile Luiz “Lula” Ignacio da Silva dovrà trascorrere i prossimi 12 anni in carcere. Si è consegnato dopo una lunga resistenza nella sede del suo primo sindacato di Sao Bernardo do Campo, dove iniziò la sua carriera politica, dopo aver usato i suoi sostenitori come scudo.
Il 7 aprile ha scelto di farsi prelevare dalla polizia, pur con determinate garanzie sulla propria detenzione. Il caso di Lula non è solo il tramonto di un sogno politico e l’ennesimo scandalo della vita pubblica brasiliana legato alla corruzione, ma anche una vicenda poco chiara che farà parlare per molto. Troppi passaggi non chiari e poche posizioni neutrali. La condanna definitiva ha confermato la prima sentenza relativa all’inchiesta Lava Jato, “l’autolavaggio”, l’equivalente brasiliano di Mani Pulite che ha convolto anche l’ex presidente Dilma Rousseff, alleata politica e amica di Lula. Il giudice federale Sergio Moro ha individuato nei rappresentanti di Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale, i corruttori del presidente, per quanto manchino prove inconfutabili e incontrovertibili della colpevolezza dell’ex operaio, alla guida del Paese dal 2003 al 2011. La moglie del leader del Partido dos Trabalhadores, scomparsa un anno fa, avrebbe acquistato la casa nel 2005, ma i sostenitori di Lula denunciano una macchinazione ad hoc: in vista delle elezioni presidenziali di ottobre, all’ex presidente i sondaggisti davano 20 punti percentuali di vantaggio sugli avversari, mentre a un altro presidente come Michel Temer, ora al potere, le accuse di corruzione si sono dissolte con il tempo, come se non vi fosse per tutti lo stesso trattamento giudiziario.
Tanto è bastato ai sostenitori di Lula e alla stessa Rousseff per scendere in piazza contro una congiura voluta dagli oligarchi e dai nemici del partito dei lavoratori. Dal 1988, quando la costituzione brasiliana venne cambiata a favore di un voto maggiormente democratico ed esteso anche alle fasce povere della popolazione, dicono i difensori dell’ex presidente, le amministrazioni sono state più attente al benessere dei cittadini. In particolare, durante l’amministrazione Lula, la povertà si è ridotta del 55%, quella estrema del 65%, il salario minimo medio è cresciuto del 76%. Ora che il loro leader si è consegnato alla polizia giudiziaria, pur provando dal carcere a provare la propria innocenza, il partito dei lavoratori è costretto a trovare un altro candidato che non faccia tornare al potere la fascia privilegiata del Paese.
L’altra metà del Brasile però festeggia, con il rischio che possano verificarsi nuovi scontri con la fazione opposta. Una stagione politica che, stando a quanto dicono gli avversari, nascondeva i misfatti dietro slogan di perbenismo e riforme di facciata. Prova ne erano le lunghe conversazioni telefoniche fra Lula e Rousseff, intercettate dal giudice federale. Anche il trattamento privilegiato in carcere, concordato a lungo con la polizia, è parte di un racconto che non può più considerare l’ex presidente il vecchio operaio e sindacalista di una volta.
Il nuovo Lula è invece un uomo stanco, che con un filo di voce ha comunicato alle forze dell’ordine di consegnarsi, ma senza arrendersi e ribadendo la sua innocenza. Al momento risalire alla verità dei fatti è alquanto difficile. Di certo c’è solo un trasloco in prigione e non nell’attico dal quale sperava di preparare la prossima campagna elettorale.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia