A Cincinnati l'eis della Bertens. Roba da "vincenti"

bartens(ASI) Eis. Kiki Bertens conquista Cincinnati ai danni Simona Halep con un punteggio di 6-2 nel finale. Fatale alla rumena il terzo set, che ha le ha fatto registrare un vero e proprio crollo psicologico, dopo un conciliante svolgimento della gara fra virtuosismo e tecnico racchiuso anche nel “tweener”.

La ventiseienne olandese Bertens, a differenza dell’altro vincitore nel torneo maschile, Novak Djokavic, non ha mai compiuto nessuno Slam – a Wimbledon è arrivata appena ai quarti di finale – ma dalla sua può di certo vantare il best ranking al numero 17 ed un futuro con qualche certezza in più rispetto ai primi tempi.

Primo torneo di Toronto in bacheca, numero 1 al mondo battuto per la prima volta, Halep – dopo Svitolina n.7 e Kyitova n.6 – e la speranza di rientrare fra le prime dieci nella top mondiale. Contrariamente a chi reputa questo sport come totalmente legato ad una sfera individuale, la Bertens invece regala un finale diverso: oltre infatti ai sei titoli WIA nel singolare, ne ha ottenuto anche dieci in doppio. Prima Johanna Larsson, la svedese n. 25 nel ranking e poi al Brisbane International, questo gennaio, la connazionale Demi Shuurs, n.10, le due atlete in questione hanno accompagnato la regina di Cincinnati in un lungo percorso di crescita, impreziosito questo con la vittoria sul cemento della 'Western & Southern Open”.

La gara. Eppure il match sembrava tutto in salito per la Halep che conduceva, già al primo set, con un secco 6-2. In termini percentuali, in questi casi l’abilità corrisponde quasi sempre all’episodio in modo scientifico, la rumena ha brillato nel servizio – circa il 93% - e messo a segno punti decisivi sfiorando spesso il limite offside. Nel secondo parziale, però cambia qualcosa. Bertens guadagna minuti nelle gambe e si volge con maggiore intensità in attacco, specie nel servizio. L’olandese classe 91 porta l’avversaria al tie break, dopo quindi aver ceduto nettamente il primo parziale, non si lascia ingannare nel secondo, superando Halep con un risultato di 6-7, anche per demeriti della stessa numero uno al mondo. Al terzo set si registra il tracollo per la rumena, soggetta già nell’ultima frazione del secondo alle pressioni di un’opinione pubblica che già scalpitava dagli spalti. Dopo due ore e quattro minuti, Bertens chiude clamorosamente i giochi con l’ais finale e un punteggio di 2-6. In questo frangente, palese la contesa fra chi “ha tutto da perdere e chi invece no”, fra chi deve sempre vincere e chi è costretta ad inseguire gli altri per conquistarsi il rispetto delle avversarie. Parte di quella stima l’olandese l’ha ottenuto adesso nella finale di Ohio e chissà se sarà così anche agli Us Open a partire da domenica 27, in cui si rimescoleranno le carte, Bertens sarà soltanto la 13esima testa di serie rispetto Halep, e verranno imposte nuove costrizioni temporali con l’adozione del Serve Clock, una regola che obbligherà tutti a servire entro i 25 secondi dalla fine del punto precedente.

I due vincitori del torneo maschile e femminile di Cincinnati, seppur diversi, hanno qualcosa in comune: la rinascita. Da un lato Djokovic, dopo il 2015, ha dovuto superare il trauma dell’infortunio rilanciandosi così a partire dalla vittoria a Wimbledon, scardinando nuovamente così le trame bidirezionali di Nadal e Federer. Dall’altro la giovane Bertens che nel 2014 aveva scoperto di avere un tumore alla tiroide, motivo per cui era calata vertiginosamente dalla classifica del ranking e si allontanata dagli standard psico-fisici di sempre. L’annuncio di aver sconfitto quel male arriverà poi l’anno dopo attraverso una conferenza stampa al Roland Garros, torneo nel quale era uscita appena al primo turno. Nonostante la sconfitta, quelle lacrime erano un frammisto di liberazione e voglia di tornare ad alti livelli. Lei, lui ci sono riusciti. Hanno battuto il più complesso dei servizi in fondo alla vita.

Elisa Lo Piccolo - Agenzia Stampa Italia

 

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