(ASI) Perugia - Alessandro Benni de Senna, per i tipi digitali di Ius Ridare, segnala e commenta un’interessante ordinanza della Terza Sezione della Corte di Cassazione, la n. 20661 del 2024, riguardante il danno patrimoniale futuro relativo ai costi di assistenza di persona paraplegica. Il caso riguardava un minore rimasto invalido all’85% in seguito a sinistro della strada.
La Corte d’appello di Milano aveva negato il risarcimento per le spese di assistenza sul presupposto che il giovane fosse assistito dalla madre, presumendone in tal modo la gratuità e che necessitasse di sole quattro ore giornaliere di vicinanza e sostegno. Gli Ermellini cassano la sentenza, rinviando alla Corte di provenienza, non tanto perché affermano un principio contrario, ma quanto perché criticano l’illogicità delle conclusioni cui pervengono i giudici di seconda istanza e, in un passaggio, l’apoditticità. Secondo i giudici del Palazzaccio, i magistrati d’Appello cadono in errore quando applicano delle presunzioni senza che esse siano gravi, precise e concordanti. In dettaglio, la Cassazione non condivide il disconoscimento del danno per il solo fatto che il minore sia assistito dalla madre. Essere aiutati da un familiare, in presenza di una grave invalidità, non fare venire meno il danno patrimoniale per le spesa di assistenza per due ordini di motivi. Il primo è che non si possa, de plano, affermare la gratuità dell’opera prestata dal familiare, il secondo riguarda l’affrancamento del minore dalle cure materne. Il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento del danno patrimoniale anche pro futuro. Essendo minore, poi divenuto maggiorenne, è naturale pensare che abbia desiderio di realizzare una vita autonoma ed indipendente, anche gravemente menomato in seguito al sinistro. La realizzazione della persona umana è uno dei cardini della nostra Carta Costituzionale. La grave invalidità di cui è portatore porta a ritenere che egli necessiti di assistenza continua ed intensa, anche perché dalle carte processuali emergeva il riconoscimento di una pensione d’invalidità con diritto di accompagnamento, dalla quale poter evincere la non autosufficienza del soggetto. Quando la Corte d’Appello nega il riconoscimento del diritto, procede in modo apodittico, affermano i giudici Romani, senza adeguata motivazione e senza essere in presenza di presunzioni forti e valide che possano sorreggere il loro ragionamento. Con l’Ordinanza in esame non siamo in presenza di linee guida per il riconoscimento di nuovi diritti o nuove voci di danno, ma l’arresto rappresenta un’importante luce sul modus procedendidell’Organo Giudicante, che non può negare la soddisfazione del danneggiato se non in base a delle prove o delle presunzioni che siano fondate su elementi precisi, gravi e concordanti, previsti dall’art. 2729 del codice civile. I magistrati della Cassazione cassano con rinvio alla Corte di Appello di Milano affinché i nuovi giudici valutino il caso senza incorrere nelle fallacie logiche ed argomentative che hanno afflitto i colleghi che li hanno preceduti. A base del loro giudizio avranno degli elementi fattuali che andranno indagati con maggior cura. Il danneggiato è invalido all’85%, non è autosufficiente, fino ad ora è stato assistito dalla madre, avrà diritto a cercare di realizzare una vita autonoma ed indipendente. Quella degli Ermellini quindi, è un’ordinanza di metodo non di svelamento di contenuti da affermare. Con il loro arresto i Giudici vogliono sottolineare il carattere illogico della sentenza d’appello e le sue affermazioni arbitrarie, non supportate da idonee presunzioni e valide argomentazioni.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia