(ASI) Craxi non era né anticlericale né laicista; era, invece, religiosamente laico e laicamente religioso. La sua posizione, umana prima ancora che culturale e politica, gli ha permesso di realizzare il Concordato con la Chiesa (18 febbraio 1984), sempre Giovanni Paolo II a reggere, da par suo, la Chiesa. Non solo: la stessa posizione sulla realtà gli ha suggerito l’impostazione adeguata ad affrontare la nuova fase della modernità. Tramontate le ideologie, rimangono gli ideali.
Alla memoria di mio padre, Felice Iannuzzi (21 giugno 1936-16 dicembre 2007), socialista craxiano ante litteram
Il giudizio di Baget Bozzo
(ASI) «Bettino era culturalmente cattolico». Così don Gianni Baget Bozzo in un colloquio privato a casa sua, a Genova, via Corsica n.9. Anno 2005, se la memoria non mi inganna. Craxi è stato sepolto ad Hammamet con la corona del Rosario donatogli da Giovanni Paolo II.
Craxi non era né anticlericale né laicista; era, invece, religiosamente laico e laicamente religioso. La sua posizione, umana prima ancora che culturale e politica, gli ha permesso di realizzare il Concordato con la Chiesa (18 febbraio 1984), sempre Giovanni Paolo II a reggere, da par suo, la Chiesa. Non solo: la stessa posizione sulla realtà gli ha suggerito l’impostazione adeguata ad affrontare la nuova fase della modernità. Tramontate le ideologie, rimangono gli ideali.
Politica e senso religioso
Il recupero della tradizione politica risorgimentale di Garibaldi e il socialismo libertario di Proudhon rappresentano, con tutti i limiti che possiamo oggi evidenziare, il motivo dominante di un nuovo socialismo nazionale, da Giano Accame definito “tricolore”. Un socialismo che non sfuggì all’analisi attenta della migliore destra politica e intellettuale, mentre fu l’occasione mancata di un dialogo serio a sinistra, essendo il PCI un modesto partito confusamente guidato da un moralista beatificato a ogni piè sospinto e incapace di disegnare un progetto politico degno di questo nome. Mi riferisco a Enrico Berlinguer, che mai capì il nuovo corso craxiano e sempre ostacolò i suoi compagni meno settari e ideologicamente ottusi nel tentativo di gettare un ponte al di là della stagnante realtà del leninismo mai abbandonato una volta per tutte.
Craxi aveva compreso che la laicità è il Centauro della modernità. Fondata sull’assenza di valori e princìpi non negoziabili, essa sfocia inevitabilmente nel nichilismo, mentre, ricondotta nell’alveo della ricerca di verità e di senso, sul piano individuale e collettivo, rappresenta la forma pubblica di quella sana razionalità umana tesa all’edificazione di una pacifica, giusta e libera convivenza. Insomma, la ricerca di verità e di senso religioso corrisponde, sul piano sociale e comunitario, alla definizione di legami costitutivi del bene comune. Il filosofo Jean-Luc Nancy ha definito con la particella latina “cum” quell’essere-in-comune che rende la comunità una realtà universalmente destinata a fecondare il significato storico dell’esistenza personale.
Non a caso Craxi, consapevole della dimensione della laicità come razionalità aperta e non relativistica, discuteva del rapporto tra socialismo e cristianesimo, di “società civile e società religiosa”, attraversando il territorio affascinante e impervio abitato da Péguy e perfino da Franco Rodano, quel singolare “cattolico comunista”, tomista in teologia e leninista in politica, apprezzato tanto da Del Noce quanto da Baget Bozzo. Siamo negli anni Settanta, tra il 1978 e il 1979, quindi il nuovo corso craxiano era già realtà effettuale nella riflessione personale e politica del consumato dirigente socialista che, proprio nel 1978, l’anno del mito del “compromesso storico”, pubblicava sull’ Espresso anche il famoso (e, per i benpensanti della peggiore gioventù radicalchic, famigerato) articolo Il Vangelo socialista. Scritto dal grande sociologo della politica Luciano Pellicani, rappresenta la pietra miliare intellettuale della svolta craxiana: Proudhonal posto di Marx.Sulle colonne della rivista fondata da Pietro Nenni, Mondoperaio, per oltre un decennio, una comunità di intelligenze non allineate continuò questo lavoro seminale.
Intanto, Moro veniva rapito, Craxi voleva salvarlo, e una tribù di sepolcri imbiancati aveva già deciso l’epilogo di questa tragedia nazionale. La posizione umana del segretario del PSI non è solo un esito dell’umanitarismo etico socialista, ma è anche l’espressione matura e commovente di un senso religioso, che colpì anche un religioso come Padre David Turoldo.
La politica come progetto
Il progetto politico fondato sull’endiadi “merito” e “bisogno, al Congresso di Rimini del 1983, fa la sua comparsa dopo questo ricco e complesso itinerario e non può essere spiegato senza fare riferimento al lavoro politico-culturale degli anni Settanta sin qui sommariamente descritto. Il socialismo, in questo contesto culturale, non è più il feticcio ideologico buono per ogni nobile e imperdonabile sconfitta, ma il prodotto di una storia incaricata di rispondere alle sfide del presente, proprio secondo il modello “sfida e risposta” dello storico inglese Toynbee.
Un progetto politico immerso in una dimensione etica e antropologica che vede l’uomo protagonista “in proprio”, per chiamare in causa la solida proposta antropologica di Giovanni Paolo II, consegnata all’enciclica Laboremexercens, pubblicata il 14 settembre 1981. In gioco, dunque, una ricerca critica e sistematica di spazi di verità, giustizia e libertà da ridisegnare secondo il criterio di una razionalità aperta, in grado di recuperare elementi di socialismo (Turati e Proudhon), di cristianesimo sociale (Péguy), senza trascurare importanti spunti weberiani.
La politica non è certo faccenda per profeti, ma neanche per fondamentalisti dell’attivismo privi di una finalità di medio e lungo periodo. In sostanza, ecco l’intuizione craxiana, anche il “riformismo” politico rischia di essere una parola vuota senza qualcosa che venga prima: l’uomo che vive nella comunità, alla ricerca di un senso per quel “cum” che cementa la convivenza, in un disegno di crescita tanto spirituale quanto materiale. L’unica via anti-ideologica praticabile è questa e nessun’altra. Ma si tratta sempre di una prassi sostanziata di “etica della responsabilità” (il progetto) e di “etica della convinzione” (il “cum” intriso di senso per l’essere-in-comune): siamo nel solco del pensiero di Max Weber. La via di Craxi, finita con lui e, in quella terra di Hammamet, è morta anche la sinistra. Rimane la pienezza dell’apparente “incompiuta” craxiana. Non so se troverà eredi anche oggi, so però che si tratta di politica. Di politica secondo il canone formulato da Max Weber, nella parte finale della sua magistrale conferenza del 1919 dedicata alla “politica come vocazione (Beruf)”.
Osserva Weber:
«La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È certo del tutto esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all’impossibile. Ma colui che può farlo deve essere un capo e non solo questo, ma anche – in un senso assai poco enfatico della parola – un eroe. Pure coloro che non sono né l’uno né l’altro devono altresì armarsi di quella fermezza interiore che permette di resistere al naufragio di tutte le speranze, già adesso, altrimenti non saranno in grado di realizzare anche solo ciò che oggi è possibile. Soltanto chi è sicuro di non cedere anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli, soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto questo: «Non importa, andiamo avanti», soltanto quest’uomo ha la “vocazione” per la politica».
Raffaele Iannuzzi per Agenzia Stampa Italia
Fonte foto: Partito Socialista Italiano - PSI, Public domain, via Wikimedia Commons.