(ASI) Cina contro Xinjiang. Sembra un ossimoro, come se la Cina fosse contro se stessa. Eppure è così. Da sempre lo Xinjiang è una regione problematica per la Repubblica Popolare Cinese e per la sicurezza dello Stato.
Infatti, in quella regione abita una delle minoranze etniche più numerose della Cina (insieme ovviamente ai tibetani), gli uighuri. I principali gruppi estremisti attivi in quella regione, secondo le autorità cinesi, sono il Movimento Islamico del Turkestan dell'Est (Etim) e il Turkestan Islamic Party (Tip). Gli uighuri, di religione musulmana, oggi sono circa il 40% dei venti milioni di abitanti dello Xinjiang, che nei decenni passati è stato meta di una massiccia immigrazione dalle zone povere della Cina.
Negli ultimi giorni si è svolto un processo di massa, che ha portato a tre condanne a morte e centinaia di anni complessivi di prigione inflitti a 55 imputati. Il processo ha avuto luogo in uno stadio nella città di Yining alla presenza di un pubblico di migliaia di persone, secondo le stime fornite dall'agenzia Nuova Cina. Questa risposta forte di Pechino è arrivata in seguito ad una serie di attentati che negli ultimi giorni hanno incendiato la regione e che sono stati ricondotti all’ala radicale della minoranza dello Xinjiang. Da anni ormai vanno avanti gli scontri armati a causa di questo conflitto etnico, che spesso ha costretto la polizia cinese ad aprire il fuoco sulla folla.
Pechino ha paura di perdere l’immagine di potenza monolitica, attaccata all’interno da forti minoranze pronte a staccarsi definitivamente dalla Repubblica Popolare. La Cina conferma di nuovo le sue più grandi paure: terrorismo, separatismo, estremismo.
Guglielmo Cassiani Ingoni – Agenzia Stampa Italia