(ASI) Enrico Carloni è un professionista di Napoli e, nella sua città, vivrà certamente momenti non molto allegri causa inquinamento e rifiuti. In questi giorni nessuno vorrebbe essere nei suoi panni però, per un altro motivo, ben più bruciante di un cumulo di immondizia arsa in una strada di Forcella.
La vicenda di Enrico, o meglio, quella che riguarda la sua famiglia, ha radici lontane, che affondano in una sera di primavera del 1944.
La linea del fronte si sta ritirando progressivamente verso Nord, giungendo ormai a minacciare Roma, inseguito ai cruenti combattimenti sui fronti di Anzio e Cassino. Tedeschi e soldati di Salò non sono certo sereni: bombardamenti, notizie che parlano di avanzate travolgenti degli alleati, guerriglia partigiana sulle montagne. La Wehrmacht sa che presto o tardi dovrà ritirarsi verso la Firenze, proteggendo i suoi uomini da un nemico che non accenna a fermarsi.
In quella primavera del 1944 Terni è un cumulo di rovine: incursioni aeree quasi quotidiane (iniziate nell’agosto del 1943) hanno reso la città inagibile ai tedeschi (il cui comando infatti è a San Gemini) e alla resistenza, che opera nelle zone del comprensorio. Maceo Carloni è un sindacalista e in quei giorni, come tanti concittadini, è sfollato.
Di formazione Mazziniana, Maceo nel 1919, durante la leva in Marina, a bordo dell’ Andrea Doria giunge a Leopoli, dove vede con i suoi occhi la tragedia della dittatura bolscevica, da poco instauratasi.
Nel ’22 entra nel sindacato fascista, divenendone un esponente apprezzato dagli operai e dalle loro famiglie, poiché la sua attività va oltre la fabbrica, pensando anche alla vita privata dei lavoratori e al reinserimento degli emarginati e dei carcerati. Prenderà la tessera del PNF solo nel ’32. Dopo l’8 settembre non aderisce alla RSI, continuando però ad operare presso le acciaierie, onde evitare ulteriori espropriazioni di materiale da parte dei tedeschi.
Va da sé che il legame forte tra gli ‘ultimi’ e un sindacalista del Fascio possa aver causato qualche mal di pancia in particolare tra i fautori della lotta di classe che, nel 1944, sono attivi con formazioni miste, italiane e slave, tra l’alto Lazio e lo spoletino.
Carloni viene prelevato da casa la notte del 4 Maggio 1944. In base ai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Terni sappiamo che verrà seviziato e giustiziato con un colpo alla nuca; l’abitazione saccheggiata.
Responsabili dell’omicidio alcuni componenti della brigata garibaldina “Antonio Gramsci”, come emergerà anche dal primo processo tenutosi nel 1948.
“Spia dei tedeschi”: questo secondo il comandante della brigata Alfredo Filipponi il movente dell’esecuzione, accusa da ricercarsi nei tentativi di mediazione in fabbrica con le forze di occupazione.
Non sussistendo prove a carico della tesi di Filipponi, il comandante viene condannato per calunnia dal Tribunale di Roma.
Nel 1952 l’amnistia e tanti ricordi, soprattutto i più amari, si perdono nei meandri della storia. La famiglia di Maceo non ha ricevuto giustizia, ma si sa che la speranza sia sempre l’ultima a morire.
Vent’anni dopo un accenno storiografico alla vicenda con il libro di Sergio Bovini “L’Umbria nella Resistenza” , volume che sull’episodio raccoglie le testimonianze del capo partigiano, il quale sostiene che Carloni fosse un ‘capoccia fascista e sfruttatore del popolo’ e che la sua morte ‘fosse stata accolta con gaudio dai ternani’. Ancora un processo, smentite le parole di Filipponi e la ritrattazione dell’autore.
Nel 2009 e nel 2010 due volumi di Marcello Marcellini (I giustizieri e Un odio inestingubile , ed. Mursia) ripropongono vicende ormai sconosciute ai più. La storia di Maceo torna alla ribalta generando indignazione tra l’opinione pubblica e i malumori dell’ANPI, che teme i pericoli di un ‘Pansa ternano’.
La ferita è di nuovo aperta e la famiglia Carloni forse è convinta, dopo più di sessant’anni, di ottenere giustizia.
Da parte della intellighenzia locale e dei ‘custodi’ della memoria un netto rifiuto a rivisitare pagine lontane del passato di Terni, edulcorate dal mito della lotta contro le forze d’occupazione per una libertà di tutti. Marcellini è additato come revisionista; Carloni (e il concittadino Centofanti, ucciso dai medesimi esecutori) indicato come vittima di una violenza contestualizzabile al momento difficile e che alla fine “colpì solo tedeschi, fascisti e padroni” (cit. dott. Marco Venanzi, autore de “La Storia Rovesciata”, intervento durante presentazione opera alla festa del PD di Terni, settembre 2010).
L’insulto finale nell’Aprile 2011: dall’Ufficio toponomastico del Comune di Terni arrivano due notizie scioccanti: ad Alfredo Filipponi e al suo omonimo Mario (membro del commando che uccise Maceo) saranno intitolate una rotonda e una via. Intitolazione ufficializzata il 25 Aprile; per Mario bisognerà aspettare il 5 Maggio, quando arriva la delibera per il percorso pedonale a Piediluco. Quella che altrove potrebbe essere fantascienza qui è realtà.
Enrico Carloni scrive al sindaco il I di Maggio chiedendo spiegazioni e auspicando in un ripensamento di fronte ad una scelta inopportuna. Non ottiene risposta, se non sapere dai familiari che a Terni la toponomastica è cambiata.
Dal mondo politico non si levano cori di sdegno. E’ un momento assai difficile, con le amministrative alle porte e le dimissioni del sindaco (per questioni di bilancio) e la piccola storia ignobile resta ancora relegata nei meandri della memoria. La rabbia di Enrico non è placata: al danno si aggiunge la beffa delle istituzioni e l’inspiegabile volontà di non voler fare i conti con episodi tragici di un passato prossimo messo sotto formalina.
E’ importante sottolineare come la condanna pubblica di gesti di crudeltà consumatisi nell’ambito della guerra civile sia doverosa: i delitti di un gruppo di sciagurati si presuppone non abbiano a che spartire con quei i valori fondanti della nostra democrazia (per dirla come il Presidente Napolitano).
Inopportuno omaggiare personaggi torbidi senza documentarsi, con il conseguente rischio di denigrare i caduti, la Collettività e le forze sane ed oneste che, da una parte e dall’altra, hanno contribuito a costruire il Paese.
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