(ASI) Susanna Camusso torna a parlare delle aperture dei negozi il 1 maggio in una lettera inviata al Corriere della Sera, in risposta ad un articolo pubblicato domenica scorsa da Dario di Vico, secondo il quale la Cgil sarebbe il "capo dei conservatori" vista la volontà del sindacato di lasciare chiuse le attività commerciali durante la festa del lavoro.
“Le ragioni di chi lavora ed i valori insiti in alcune date meriterebbero da parte di tutti di essere prese sul serio- scrive la Camusso -si è cimentato nell'opera, per lui abituale, di collocare la CGIL a capo della conservazione. La nostra non è disattenzione alla globalizzazione - si legge nella lettera - è attenzione a non farsi travolgere dall’ideologia del mercato che, appunto, ci ha portato nella crisi. Dopo la crisi speriamo che nulla sarà più come prima. Sentiamo, però, forti venti di restaurazione. In Italia, comunque, le cose sono già cambiate. Basta riflettere sulla divisione, sulla paralisi, sulla non crescita. Eppure ogni giorno si attribuisce ai lavoratori il 'dovere' della discontinuità. E la festa del lavoro (che pure si celebra nel mondo) diventa un simbolo, come già successo poco tempo fa con la festa dell’Unità d’Italia. Ma davvero - domanda Camusso - crediamo che le sorti dell’economia, del cambiamento, dipendano dall’apertura dei negozi il Primo maggio, mentre, per esempio, sul fisco si può rinviare da una campagna elettorale all’altra? Davvero è moderno negare la festa del lavoro, in altri casi il 25 aprile, come se fossero giorni qualunque? Dobbiamo immaginare che presto anche il Natale diverrà un attentato all’economia? O il trattamento è riservato solo alle feste laiche? Non crediamo che ragionare di consumi sia riservato ai partiti, se non altro perché dal nostro osservatorio ne vediamo la diminuzione e abbiamo ragione di sospettare che non avvenga per la mancata apertura dei negozi. Per questo pensiamo sia sbagliato spostare la tassazione sull’Iva, che inoltre nega ragioni di giustizia fiscale di cui ci sarebbe gran bisogno. Possiamo ricordare che lo shopping non è un servizio di pubblica utilità, nemmeno, per quei turisti che, abituati a viaggiare, sanno bene che in ogni luogo del mondo ci sono orari e chiusure e non per questo rinunciano a visitare città d’arte o a frequentare celebrazioni. Potremmo citare - sottolinea la leader della CGIL - molti accordi sull’utilizzo di impianti ed investimenti, sono il fare quotidiano, sono accordi appunto, non ordinanze, con il rispetto delle condizioni dei lavoratori, con i riposi e le festività. È quanto abbiamo sempre proposto anche nel commercio, perché si eviterebbe l’effetto Cenerentola, rispettando e valorizzando il lavoro. In questo settore, fatto di nastri orari, part time non richiesto, frammentazione, che rende fragile il lavoro, tante, troppe commesse si definiscono invisibili. Non servirebbe, allora, un’attenzione di tutti, uno sforzo collettivo, per definire regole rispettose, più che crociate per cancellare la festa del lavoro? Infine - ha concluso Camusso - sappiamo che sarà ritenuto retrò, ma farsi sfiorare dal pensiero che non tutto è monetizzabile, che non tutto si può comprare, non sarebbe un bel segno per questo Paese? Consolidare dei valori, dei segni di identità del lavoro non farebbe bene a tutti?”