(ASI) Beirut (Libano) - “A Beirut sud non c’era bisogno di attaccare, non c’erano zone di contatto” mi dice il dott. Haji Hassan Gichi, direttore generale del progetto Waad. L’associazione Waad, che significa “prometto”, è nata dopo il conflitto del 2006 ed è una costola della potente struttura Jihad al Binah, una fondazione che si occupa di tutti i progetti di sviluppo, dalla ricostruzione all’assistenza grazie ai tantissimi volontari e dipendenti. I numeri parlano chiaro, nei trentatre giorni di guerra,
in questa zona “sono stati effettuati 12mila raid israeliani. Noi abbiamo ricostruito 231 edifici solo nella zona di Dahieh (Beirut sud) e ne abbiamo ristrutturati oltre i mille”. Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah ad agosto del 2006 proclamò la vittoria e promise ai libanesi che avrebbe aiutato a ricostruire le zone bombardate: “con la ricostruzione la vittoria potrà essere completa”. Così è stato. Ora i quartieri sono quasi completamente ricostruiti.
Il direttore di Waad mi dice che la soluzione a questo disastro sociale si è svolta molto rapidamente: “prima abbiamo raccolto una squadra di professionisti di tutte le comunità religiose e poi siamo andati nelle zone colpite per vedere i problemi e per individuare le soluzioni più veloci”. Il progetto per la ricostruzione di questi palazzi è partito nel 2007 e sarà completato entro quest’anno. La ricostruzione – mi precisa Haji Hassan Gichi – è stata partecipata con tutto il popolo. “Era importante che le persone tornassero nella casa che loro volevano e non il contrario. Le abitazioni sono state costruite insieme a loro e, sempre insieme, sono state scelte tutte le modifiche del caso, dalla divisione degli appartamenti, alla finiture delle piastrelle”. Perdere la propria casa è come perdere un tessuto del proprio organismo e Hezbollah è stato in grado di sanarlo.
“Noi siamo un popolo che ama la vita – continua a dirmi il direttore – che vuole la pace e che accetta l’altro, ma vogliamo vivere con dignità. Non accettiamo le oppressioni. L’uomo vive per un obiettivo, non certo per mangiare e morire. Non vogliamo vivere al margine senza dignità e senza orgoglio”. Rimango per un attimo in silenzio pensando a queste parole e provo a paragonarle alla nostra società. Impossibile, la continua ricerca del superfluo è l’assoluto protagonista di un film già scritto da altri per gli uomini massa.
Quando gli chiedo se le altre comunità libanesi hanno una simile struttura di autentica solidarietà mi dice che “nessuna struttura è paragonabile alla nostra sia per l’efficienza sia per la velocità con la quale affrontiamo i problemi”. Poi aggiunge: “normalmente è lo Stato che si occupa di queste cose. Ma in Libano né lo Stato né altri partiti hanno ricostruito le case del popolo”.
Poi un ingegnere di Waad, che parla italiano, prima di andare via, mi chiede come stanno andando le ricostruzioni dopo il terremoto in Abruzzo. Rimango ancora in silenzio. Questa volta il silenzio è assordante. Hezbollah, il Partito di Dio, ha dato luce nel buio, con straordinaria efficienza e completa dedizione alla causa. E non solo per il proprio movimento, ma per tutta la popolazione del Libano.
Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia