Cina. Dopo il faccia-a-faccia con Biden, Xi Jinping mantiene la postura anche all'APEC

XiDada(ASI) Negli ultimi tre giorni molto si è detto e scritto dell'incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense Joe Biden. Il bilaterale andato in scena presso la residenza storica Filoli, a poche decine di chilometri da San Francisco, è stato ritenuto da molti analisti e osservatori internazionali un sostanziale successo.

Ovviamente, da parte nordamericana la lettura è contrastante: c'è chi ne attribuisce il buon risultato complessivo alla capacità diplomatica dell'inquilino della Casa Bianca e chi, invece, crede che la mossa di invitare Xi ad un faccia-a-faccia fosse quasi obbligata dalle turbolente circostanze geopolitiche che vedono gli Stati Uniti compressi tra lo stallo bellico in Ucraina e la più recente ed esplosiva escalation israelo-palestinese.

Del resto, aprire un nuovo fronte nel Pacifico, come qualcuno ipotizzava nei mesi scorsi, scatenando uno scontro nello Stretto di Taiwan - tema su cui Xi pare sia stato molto chiaro durante il vertice bilaterale - sarebbe un azzardo strategico che Washington non potrebbe permettersi: prima di tutto perché il territorio insulare è internazionalmente riconosciuto, anche dagli stessi Stati Uniti, come parte integrante della Repubblica Popolare Cinese; in secondo luogo, perché sarebbe praticamente impossibile fornire ulteriore supporto militare e logistico a fronte di un eventuale blocco navale ed aereo che la Cina ha già dimostrato di poter realizzare durante le esercitazioni seguite alla visita di Nancy Pelosi nell'agosto 2022; infine, perché le prossime elezioni generali di gennaio dovrebbero premiare il Kuomintang locale, riaprendo così il dialogo tra le due sponde interrotto da Tsai Ing-wen dopo la sua vittoria nel 2016.

Anche sulla posizione della Cina, le opinioni divergono. Alcuni osservatori, soprattutto in Occidente, hanno interpretato l'incontro come un'ammissione di debolezza nella presunta consapevolezza che il colosso asiatico, ritenuto in crisi, non possa fare a meno degli Stati Uniti. In realtà, non è proprio così. Il mercato nordamericano, così come quello UE, è senz'altro fondamentale per la stabilità economica della Cina, ma ragionare soltanto in base alla sua necessità di preservare le esportazioni verso i mercati avanzati non ha più molto senso.

Da diversi anni, infatti, la crescita economica del Dragone è trainata dai consumi interni per effetto della rapida ascesa della classe media, che Pew Reserch Center stimava in circa 707 milioni di persone già nel 2018, contro gli appena 39 milioni del 2000: un incremento esplosivo che ha reso necessario il programma generale di riforma strutturale dell'offerta - e tutte le altre riforme ad esso collegate - messo in campo dal governo cinese a partire dal 2015 per venire incontro alle nuove esigenze del mercato.

Resta dunque prioritario per Pechino salvaguardare la stabilità delle catene globali di fornitura allentando le tensioni e ripristinando, seppur gradualmente, la normalità nelle relazioni tra le due maggiori economie mondiali. Tuttavia è anche l'Occidente ad aver bisogno della Cina: non solo e non tanto per le importazioni di beni intermedi [comunque essenziali per molte aziende statunitensi colpite dalla guerra commerciale] o di "materie prime critiche", tra cui le ormai note terre rare [da cui Washington e Bruxelles stanno per altro cercando di smarcarsi attraverso i vari piani più o meno realistici di de-risking], quanto piuttosto per poter sfruttarne appieno le opportunità in termini sia di export di beni e servizi sia di investimenti.

Insomma, è inutile e persino dannoso continuare a guardare in cagnesco la Cina, indicandola costantemente come "minaccia" o "rivale sistemico", mentre migliaia di aziende occidentali, non solo di grandi dimensioni, continuano ad essere regolarmente presenti a tutti i principali eventi fieristici internazionali promossi dal Paese asiatico, come la China International Import Expo (CIIE) di Shanghai, la China International Consumer Products Expo (CICPE) di Haikou o la China Import and Export Fair (CIEF) di Guangzhou.

La forte influenza economica della Cina è emersa in tutta la sua evidenza anche durante l'evento principale che San Francisco ha ospitato in questi giorni, cioè l'annuale vertice informale dei leader dell'Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC), organismo intergovernativo creato nel 1989 su iniziativa dell'allora primo ministro australiano Bob Hawke, ad oggi partecipato da 21 economie affacciate sulle due sponde del Pacifico, tra cui anche la Russia, presente all'ombra del Golden Gate col vice primo ministro Aleksej Overchuk.

Nel suo discorso, Xi Jinping ha ricordato come, sin dalla nascita dei suoi meccanismi regolari di incontro tra i leader delle economie della regione, l'APEC si sia sempre mantenuta all'avanguardia nel mondo per apertura e sviluppo, giocando «un forte ruolo nella promozione della liberalizzazione e della facilitazione del commercio e degli investimenti nell'Asia-Pacifico, nella crescita economica e nel progresso tecnologico, nonché nel flusso di merci e persone».

«Per una giusta causa andrò avanti, per nulla intimorito dalle migliaia di persone che mi ostacolano», ha detto Xi citando un antico saggio cinese. Un avvertimento a qualcuno? Forse. Ma soprattutto un riferimento alla necessità di «restare fedeli all'impegno verso la missione fondatrice dell'APEC», di «rispondere agli appelli del nostro tempo in modo responsabile» e di «affrontare insieme le sfide globali».

Il presidente cinese ha sottolineato l'importanza degli obiettivi indicati dall'APEC nel documento Putrajaya Vision 2040, siglato durante il vertice in videoconferenza del 2020, ospitato dalla Malesia, col quale i leader delle 21 economie avevano stabilito di dare vita ad una comunità Asia-Pacifico aperta, dinamica, resiliente e pacifica per la prosperità dei popoli della regione e delle future generazioni.

Non sono mancate le stoccate alla Casa Bianca, appena due giorni dopo l'incontro presso la residenza Filoli, in particolare quando Xi Jinping ha parlato delle priorità della Cina. Due di queste, infatti, hanno fornito l'occasione per lanciare chiari segnali non soltanto a Biden ma anche al suo eventuale successore, chiunque esso sarà.

Ponendo l'accento sull'innovazione come traino di sviluppo, il presidente cinese ha indicato la necessità di seguire le tendenze del progresso scientifico-tecnologico, promuovere proattivamente gli scambi e la cooperazione, lavorare insieme per un ambiente scientifico-tecnologico aperto, giusto, equo e non discriminatorio.

Xi ha poi ricordato come l'esperienza stessa dell'APEC insegni che un'economia prospera in un clima di apertura e declina in condizione di isolamento. A questo proposito, il leader del colosso asiatico ha rimarcato l'esigenza di promuovere la libertà e l'apertura del commercio e degli investimenti, supportare e rafforzare il sistema multilaterale del commercio incentrato sulla WTO nonché mantenere aperte e stabili le catene industriali e logistiche globali, evitando qualsiasi tentativo di politicizzare e militarizzare le questioni economiche e commerciali o di ostacolarle imponendo sanzioni motivate da ragioni di sicurezza. Più chiaro di così...

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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