(ASI) Fresco di rielezione all'Assemblea Nazionale del Popolo per un terzo mandato quinquennale consecutivo, Xi Jinping sbarcherà tra poche ore in Russia per una tre-giorni (20-22 marzo) di visita nel Paese, dove incontrerà l'omologo Vladimir Putin. Il viaggio del presidente cinese è molto attesto sia in patria che all'estero e, considerando anche la difficile situazione internazionale, gli occhi di molti leader nel mondo saranno presumibilmente puntati su Mosca per capire cosa accadrà.
La questione ucraina continua ovviamente a tenere banco ma sarebbe riduttivo ritenere che questa possa occupare molto spazio nell'agenda del vertice bilaterale sino-russo. Anzitutto perché, come più volte ribadito dal Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare, il conflitto può essere risolto soltanto a livello multilaterale e, senza un impegno anche da parte degli Stati Uniti e della NATO in questo senso, sarà praticamente impossibile persino iniziare a discutere la proposta di pace in dodici punti presentata da Pechino il mese scorso.
Per Xi si tratterà della nona trasferta in terra russa da quando è capo di Stato, per uno dei tanti incontri con il leader del Cremlino. Agli occhi di una grossa fetta dell'opinione pubblica cinese, Putin è l'uomo politico che ha definitivamente normalizzato le relazioni bilaterali dopo almeno un ventennio di tensioni durante la fase più acuta della Guerra Fredda ed un timido periodo di ripresa del dialogo e della cooperazione tra gli anni Ottanta e Novanta.
Il Trattato di Buon Vicinato e Cooperazione Amichevole (TBVCA), di cui si è celebrato il ventennale un paio d'anni fa, costituisce ancora oggi il fondamento dei rapporti tra le due potenze. In un anno miliare per Pechino come il 2001, caratterizzato dall'ingresso nell'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), quel documento non ha soltanto messo in sicurezza i circa 4.300 km di confine tra i due Paesi ma ha anche riscritto le coordinate geopolitiche e geo-economiche del XXI secolo. Se ne rese conto subito Jim O'Neill, economista di Goldman-Sachs, che nello stesso anno coniò l'acronimo BRIC [poi divenuto BRICS] per indicare le maggiori economie emergenti del tempo, destinate ad un ruolo da protagoniste negli anni a venire.
Il primo articolo del Trattato cita, non a caso, i cinque pilastri della dottrina di politica estera cinese: rispetto reciproco della sovranità statale e dell'integrità territoriale; non-aggressione; non-interferenza negli affari interni altrui; uguaglianza e reciproco beneficio; coesistenza pacifica. Auspicava, inoltre, lo sviluppo di un partenariato strategico di lungo termine ed onnicomprensivo, come poi effettivamente avvenuto in seguito, specie a partire dal 2013.
Ancor più significativo, anche per comprendere le dinamiche odierne, è l'Articolo 8, il cui dettato stabilisce che «le parti contraenti non entreranno in alcuna alleanza o parte di alcun blocco né intraprenderanno alcuna azione del genere, inclusa la conclusione di un simile trattato con un paese terzo che comprometta la sovranità, la sicurezza e l'integrità territoriale dell'altra parte contraente», aggiungendo: «Nessuna delle parti contraenti consentirà che il proprio territorio sia utilizzato da un paese terzo per mettere in pericolo la sovranità nazionale, la sicurezza e l'integrità territoriale dell'altra parte contraente».
La firma del trattato bilaterale sino-russo seguiva quella apposta soltanto un mese prima dai presidenti di Cina, Russia, Kazakhstan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan sulla Dichiarazione di fondazione dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), piattaforma intergovernativa nata allo scopo di garantire la sicurezza e la stabilità in Asia Centrale, una regione strategica per tanti motivi. Tra questi, il più recente e, al momento, forse il più imponente è senz'altro il coinvolgimento di quei governi e quei territori nell'Iniziativa Belt and Road (BRI), lanciata quasi dieci anni fa dallo stesso Xi Jinping allo scopo di ricostruire in chiave moderna le antiche rotte logistiche e commerciali della Via della Seta.
Oggi, a quasi ventidue anni di distanza, la SCO annovera tra i Paesi membri a pieno titolo anche India, Pakistan e Iran, cui si affiancano tre membri osservatori - Mongolia, Bielorussia e Afghanistan - ed otto partner per il dialogo: Turchia, Egitto, Qatar, Azerbaigian, Armenia, Sri Lanka, Cambogia e Nepal, ai quali presto potrebbe aggiungersi l'Arabia Saudita, sempre meno allineata alle politiche di Washington.
Negli ultimi nove anni, i rappresentanti di Pechino e Mosca hanno costantemente intensificato ed ampliato un partenariato che, ancora adesso, appare solidissimo, attraverso la firma di tre importanti dichiarazioni congiunte: sulla nuova fase del partenariato strategico globale nel 2014; sull'approfondimento del partenariato strategico globale ed il sostegno alla cooperazione dal mutuo vantaggio nel 2015; e sull'ulteriore approfondimento del partenariato strategico globale nel 2017.
Il 4 febbraio 2022, Xi e Putin - invitato a Pechino per i Giochi Olimpici Invernali - avevano sottolineato che quella tra Cina e Russia è «un'amicizia senza limiti»: frase che, al di là degli equivoci mediatici, indicava ed indica tutt'ora l'apertura alla possibilità di esplorare qualsiasi campo di cooperazione bilaterale.
Ultima tappa significativa - non solo dal punto di vista simbolico - nel lungo percorso di sviluppo delle relazioni bilaterali è stata, nel giugno scorso, l'apertura al traffico, dopo sei anni di lavori, del nuovo ponte autostradale transfrontaliero tra la città di Heihe, nella provincia cinese dell'Heilongjiang, e Blagoveščensk, nell'oblast russo dell'Amur, separate tra loro dall'omonimo fiume. Il ponte, lungo 1,284 km, rientra in un più esteso investimento infrastrutturale congiunto da 2,47 miliardi di yuan (ca. € 345 mln) che comprende la realizzazione di un intero tratto autostradale di 19,9 km, dei quali 6,5 km in territorio cinese e 13,4 km in territorio russo [Global Times, 10/6/2022]. L'obiettivo è quello di facilitare la logistica del corridoio economico Cina-Mongolia-Russia riducendone la rotta commerciale complessiva di ben 3.500 km [Intertraffic, 17/1/2019].
Il valore dell'interscambio commerciale tra Cina e Russia è notevolmente cresciuto nel corso degli ultimi dieci anni, passando dai quasi 90 miliardi di dollari del 2013 agli oltre 190 miliardi del 2022, avvicinandosi all'obiettivo dei 200 miliardi fissato da Xi e Putin per il 2024. Gran parte di questo volume è ancora occupata da combustibili, materie plastiche, acciaio, alluminio, legna, fertilizzanti ed altro ancora, tuttavia crescono i beni di consumo.
Come riporta Xinhua, tra i prodotti cinesi maggiormente esportati in Russia nel corso degli ultimi anni ci sono infatti automobili e pezzi di ricambio, tanto che alla fine del 2022 nel Paese dei cremlini si registravano ben 1.041 rivenditori di brand cinesi di settore. Nella direzione opposta, sta aumentando invece l'export russo verso la Cina di prodotti alimentari di qualità come cioccolato, miele, farina e alcoolici.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia