(ASI) “Il sostegno che la maggioranza dei cristiani offre ad Assad nasce anche dalla preoccupazione di ciò che potrebbe accadere dopo la caduta del presidente, che non ha mai creato problemi alla minoranza”. Così ha risposto monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo della città siriana di Aleppo, a un inviato italiano che gli chiedeva se è vero che i cristiani siriani appoggiano il regime.
Un concetto ragionevole quello espresso dal presule, che smorza ogni ambiguità e tranello - frutti della retorica occidentale anti-Assad - che la domanda del giornalista che l’ha intervistato porta in dote. Come a dire: non ho problemi a rispondervi diversamente da quanto vi aspettereste, poiché qui in Siria la realtà è ben lungi da quanto traspare da voi, in Occidente, dove meccanismi mediatici partigiani filtrano le notizie al fine di rendere giustificato presso l’opinione pubblica l’atteggiamento ostruzionista atlantico all’indirizzo di Assad e del suo governo.
In effetti, per capire cosa sta accadendo in Siria e quello che potrebbe scaturire da uno sconsiderato attacco militare statunitense, è necessario rivolgere l’attenzione altrove rispetto ai media di massa, approfondendo dinamiche politiche, ma prima ancora storiche e religiose, che fanno di questo Paese mediorientale un armonioso mosaico di genti. Mosaico sorretto - è bene ricordarlo - dal regime baathista che, come ha detto il vescovo caldeo di Aleppo, si è sempre contraddistinto per tolleranza nei confronti di ogni realtà confessionale presente nel territorio. Deporre un regime - per giunta al prezzo di un bagno di sangue di proporzioni ad oggi imprevedibili - che garantisce a un popolo così eterogeneo dal punto di vista religioso simili libertà, significa oltraggiare l’armonia di questo mosaico e sostituirla con il caos e i patimenti delle violenze interconfessionali. Del resto, nel confinante Iraq c’è uno scenario geopolitico che aleggia nella mente della minoranza religiosa siriana come un inquietante spettro. Già nel 2007, a quattro anni dall’inizio dell’intervento militare americano in Iraq, il direttore della Biblioteque Spirituelle di Aleppo, Pierre Masri, confidava alla stampa europea: “Dai fratelli fuggiti dall’Iraq i cristiani di qui hanno ascoltato storie terribili, un abisso di ferocia che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe immaginato. E tutti vedono bene che i fattori all’opera nello scenario iracheno prima della guerra sono presenti anche nell’attuale situazione siriana. Anche qui ci sono sunniti, alawiti, sciiti, curdi. Anche qui ci sono indizi di infezione integralista finora tenuta a bada dagli apparati di sicurezza. Anche qui c’è una leadership politica da sempre nel mirino degli Stati Uniti”.
Non devono stupire le parole di Pierre Masri, perché la Siria, dalla cacciata degli ottomani in poi, garantisce accoglienza ai cristiani perseguitati in altri Stati della regione mediorientale. Già nel lontano 1915 la Siria operò da rifugio per gli armeni che fuggivano dal genocidio perpetrato loro dai Giovani Turchi in Anatolia, di nuovo negli anni ’30 a trovar riparo in Siria furono i cristiani assiri dell’Iraq, perseguitati dal loro Stato appena resosi indipendente dal protettorato britannico. La natura laica della Siria si rafforzò nel 1970, quando sulle ali di un entusiasmo panarabo secolarizzante prese il potere il generale Hafez el-Assad, leader del partito socialista e nazionale Baath. La politica che il nuovo regime adottò fu sin da subito basata sulla lotta ad ogni discriminazione religiosa, in nome di un’esaltazione dell’identità siriano-araba come criterio fondante dell’unità nazionale. In questo senso è utile rammentare che la Costituzione della Siria - unica tra quelle dei Paesi arabi - non definisce l’islam religione di Stato. Con la successione al potere di Bashar, figlio di Hafez el-Assad, la situazione non è mutata: i cristiani siriani non conoscono restrizioni ai loro culti (Messe, processioni, pellegrinaggi) e neanche alle loro attività (scuole, catechismi, convegni, colonie estive, associazionismi giovanili), inoltre le solennità cristiane di Natale e Pasqua - sia cattolica che ortodossa - sono giorni festivi per tutto il Paese. Lo Stato consente alla chiesa di essere esentata dal pagamento dei servizi pubblici, addirittura i materiali per il restauro degli edifici religiosi vengono forniti a prezzo di costo (cose da mandare ai matti i radicali e tutto lo stuolo anti-clericale che gli va dietro qui in Italia).
Paradossale che possa venir insidiato in nome dei “diritti umani” un tale contesto di ordine e tolleranza, dove le culture si incontrano e danno vita ad un affascinante caleidoscopio religioso. Oltremodo curioso che proprio gli alfieri dei “valori occidentali”, gli Stati Uniti, abbiano iscritto - già dai tempi di George W. Bush - il regime di Damasco (come abbiamo visto un rifugio sicuro per tutti i cristiani dell’area mediorientale) nel cosiddetto “asse del male”. La Siria, già oggi lacerata da violenze fomentate da agenti stranieri in veste di provocatori, dopo un futuro attacco americano si trasformerebbe in una polveriera interconfessionale difficilmente disinnescabile, come il vicino Iraq e come - recenti fatti purtroppo insegnano - quei Paesi reduci dalla “primavera araba”.
Evidentemente, dietro la patina mediatica delle “operazioni umanitarie” cova quell’antica brama egemonica occidentale che si alimenta mediante il sempreverde sistema del divide et impera. Il cinico obiettivo di Stati Uniti ed alleati sembra proprio essere quello di destabilizzare la regione araba fomentando scontri intestini tali da creare vuoti di potere da dover occupare. Si tratta nient’altro che di un subdolo neocolonialismo che si serve dell’appoggio dei media per convincere l’opinione pubblica circa la sua presunta liceità. La Siria, con l’importante componente cristiana della cui sicurezza non interessa nulla ai paladini dei “valori occidentali”, è solo un tassello di questo scacchiere. “Se dobbiamo scegliere tra la democrazia e la vita, scegliamo la vita”. Anno Domini 2007, Pierre Masri dixit.
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