(ASI) «Le relazioni economiche e commerciali sino-americane sono per definizione reciprocamente vantaggiose e non dovrebbero essere politicizzate». È probabilmente questo il passaggio più significativo dell'intervento del presidente cinese Xi Jinping in occasione dell'incontro bilaterale con l'omologo statunitense Joe Biden, durato circa tre ore e mezzo, svoltosi oggi in videoconferenza.
«Un rapporto solido e stabile tra Cina e Stati Uniti è necessario per promuovere il rispettivo sviluppo dei nostri due Paesi e per salvaguardare un ambiente internazionale pacifico e stabile», ha incalzato il capo di Stato del colosso asiatico, che ha sottolineato come Pechino e Washington «dovrebbero rispettarsi a vicenda, coesistere in pace e perseguire una cooperazione vantaggiosa per tutti».
Da parte sua, Biden ha pronunciato parole altrettanto importanti: «A me sembra che la nostra responsabilità come leader di Cina e Stati Uniti sia quella di garantire che la competizione tra i nostri Paesi non si trasformi in conflitto, intenzionalmente o meno. Soltanto una semplice e onesta competizione». Il presidente statunitense ha poi sottolineato la necessità di stabilire «barriere di buon senso», mantenendo chiarezza e onestà riguardo i temi di disaccordo ma lavorando insieme dove gli interessi dei due giganti convergono, a partire da «questioni globali vitali come il cambiamento climatico».
Nella visione di entrambi i leader, la stabilità delle relazioni diplomatiche e commerciali tra le prime due economie del mondo è ritenuta una questione che travalica la dimensione strettamente bilaterale, coinvolgendo tutto il mondo, specie in questa complessa fase di ripresa post-pandemica, con un virus ancora presente malgrado la campagna vaccinale ed i prezzi delle materie prime schizzati alle stelle, che minano non solo produzione e consumi ma anche la stessa transizione ecologica, al di là del positivo accordo raggiunto in conclusione del recente vertice della COP26 a Glasgow.
Poco prima dell'incontro con Xi, l'inquilino della Casa Bianca aveva firmato e convertito in legge l'Infrastructure Investment & Jobs Act, votato al Senato sia dai Democratici che dai Repubblicani. Si tratta di uno stanziamento epocale, che mette sul piatto circa 1.000 miliardi di dollari per l'ammodernamento delle infrastrutture di trasporto, immateriali e di fornitura del Paese attraverso una combinazione di fondi federali e nuovo gettito derivante da una stretta fiscale sul mercato delle criptovalute.
Malgrado le dichiarazioni al G7 in Cornovaglia e l'imminente summit globale delle democrazie voluto da Biden, il nuovo corso degli Stati Uniti sembra insomma confermare una tendenza di fondo già emersa durante il secondo mandato di Barack Obama e quello di Donald Trump: il ripiegamento sui problemi interni irrisolti o trascurati nel corso degli ultimi trent'anni. Le parole del presidente statunitense subito dopo il ritiro dall'Afghanistan lo scorso agosto avevano lasciato poco spazio all'interpretazione, specie con gli espliciti riferimenti alle perdite umane e ai circa 2.000 miliardi di dollari spesi in vent'anni dalla Difesa.
Dopo un anno e mezzo di tensioni a ripetizione su una serie di temi - dalle speculazioni sulle origini del SARS-CoV-2 alla nuova legge sulla sicurezza per Hong Kong, dai botta e risposta sulla questione di Taiwan alle accuse per le presunte persecuzioni dei musulmani nello Xinjiang, dalle incursioni navali americane negli arcipelaghi contesi sul Mar Cinese Meridionale all'estensione del blocco dei giganti tech cinesi sul mercato statunitense - i massimi rappresentanti di Pechino e Washington tornano dunque a parlarsi faccia a faccia, anche se soltanto attraverso uno schermo, per stabilire una nuova fase.
L'ultima stretta di mano - allora in presenza - era stata quella tra Xi e Trump a margine del G20 di Osaka a giugno 2019 per un accordo che avrebbe poi trovato riscontro nella positiva conclusione della Fase 1 dei negoziati commerciali nel gennaio successivo, proprio mentre a Wuhan aumentavano esponenzialmente in poco tempo i casi di Covid-19. La pandemia ha cambiato molte cose nei rapporti tra le due potenze, soprattutto per le sue ripercussioni politiche, rendendo necessario un sostanziale reset diplomatico che aprisse una nuova agenda.
Durante l'incontro di oggi, Xi ha così individuato quattro aree prioritarie su cui i due Paesi dovrebbero concentrare i propri sforzi: assumersi la responsabilità di nazioni leader e guidare la risposta globale alle sfide rimaste in sospeso; agire nello spirito di uguaglianza e beneficio reciproco per promuovere gli scambi a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, generando maggiore energia positiva nelle relazioni bilaterali; gestire le divergenze e le questioni sensibili in modo costruttivo per impedire che le relazioni bilaterali deraglino o vadano fuori controllo; rafforzare il coordinamento e la cooperazione nel quadro delle principali aree calde internazionali e regionali per fornire maggiori beni pubblici al resto del mondo.
Tra le questioni ritenute sensibili restano ovviamente ancora distanti i punti di vista sulla situazione dei diritti umani nelle regioni cinesi di Tibet, Xinjiang e Hong Kong, dove Washington esprime «preoccupazione», e sulla giurisdizione di Taiwan, che gli Stati Uniti, al pari di altri 178 Paesi membri dell'ONU, riconoscono ufficialmente quale parte integrante dell'unica Cina legalmente rappresentata al Palazzo di Vetro, ovvero la Repubblica Popolare Cinese, ma rispetto alla quale mantengono la loro tradizionale "ambiguità strategica".
Nell'incontro di oggi, Biden ha sottolineato che la Casa Bianca resta vincolata al principio di 'Una sola Cina' sulla base del Taiwan Relations Act del 1979, che accolse la Risoluzione ONU 2758 del 1971, ma ha anche ricordato i tre Comunicati Congiunti e le Sei Rassicurazioni che, sebbene non vincolanti, sanciscono per Washington la possibilità di intervenire allo scopo di impedire atti unilaterali mirati a modificare lo status quo o comunque mettere a repentaglio la pace e la stabilità lungo lo Stretto.
Su questo tema, tuttavia, c'è una sostanziale convergenza di fondo con la Legge Anti-Secessione (34/2005) cinese che in pratica sancisce un principio analogo, sebbene dal punto di vista opposto. Con gli Articoli 5 e 6, infatti, il testo, promulgato oltre sedici anni da Pechino fa, ribadisce la volontà del governo, già espressa nel Libro Bianco del 1993, di promuovere il dialogo e la riunificazione pacifica con il territorio di Taiwan attraverso scambi a tutti i livelli e in tutti gli ambiti (economico, commerciale, anti-crimine, scientifico, tecnologico, logistico, culturale e sportivo). All'Articolo 8, la Legge stabilisce tuttavia che se le forze separatiste dovessero agire con qualsiasi sigla o mezzo per provocare la secessione di Taiwan dalla Cina, dunque sconvolgendo lo status quo, lo Stato impiegherebbe «mezzi non-pacifici ed altre misure necessarie a proteggere la sovranità e l'integrità territoriale cinese».
Incalzato da un raggruppamento di importanti associazioni industriali americane di varie categorie e settori, che lo scorso agosto con una lettera ufficiale avevano chiesto a gran voce alla Casa Bianca di trovare una quadra e chiudere la guerra commerciale con Pechino, Biden sa che non è più possibile scherzare col fuoco. La stabilità internazionale, la ripresa interna e la trasformazione sostenibile richiedono la massima cooperazione ed una nuova Guerra Fredda presenterebbe un prezzo altissimo da pagare.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia