(ASI) Chi pensava che la pandemia avrebbe sconvolto le relazioni tra la Cina e il resto del mondo, in particolare i Paesi occidentali, dovrà probabilmente cominciare a riconsiderare la sua previsione. Dopo almeno tre mesi di accuse e insinuazioni sull'origine del virus e sulla gestione del primo focolaio epidemico di Wuhan tra dicembre e gennaio scorsi, il clima di forte tensione che aveva caratterizzato le relazioni diplomatiche tra Pechino e alcune cancellerie straniere potrebbe essere sul punto di rientrare.
Due giorni dopo gli ultimi avvertimenti di Donald Trump al premier britannico Boris Johnson, solitamente più cauto ed equilibrato nelle relazioni con Pechino, proprio ieri è arrivato infatti il via libera in favore di Huawei da parte del Consiglio Distrettuale del South Cambridgeshire, distretto meridionale (e "feudo" conservatore alle ultime elezioni generali dell'anno scorso) della Contea del Cambridgeshire, nell'Inghilterra orientale.
Con nove voti a favore ed un solo contrario, il consesso locale ha infatti approvato la prima fase della costruzione di un centro di ricerca e sviluppo del colosso TLC cinese in un'area di 500 acri (circa 2,02 km2) per un investimento di un 1 miliardo di sterline (circa 1,01 miliardi di euro) nei pressi della cittadina di Sawston, all'interno di quella che gli esperti del settore hi-tech conoscono come Silicon Fen, uno dei più importanti hub digitali del Paese, sorto attorno alla città-contea di Cambridge, dove sono già presenti giganti del mondo dei software e dell'elettronica come le statunitensi Amazon e Microsoft, e la britannica ARM.
«Il Regno Unito è patria di un mercato dinamico e aperto, nonché di alcuni tra i migliori talenti che il mondo può offrire», ha osservato un entusiasta Victor Zhang, vicepresidente di Huawei, in un comunicato stampa diramato ieri, aggiungendo: «È il luogo ideale per questo innovativo campus integrato. Attraverso una stretta collaborazione con gli istituti di ricerca, le università e il tessuto economico locale, vogliamo promuovere la tecnologia di comunicazione ottica per l'industria nel suo insieme, facendo al contempo la nostra parte per sostenere la più estesa Industrial Strategy del Paese».
Huawei, presente ormai da quasi vent'anni a queste latitudini, conta già 1.600 dipendenti in tutto il Regno Unito e, con questo progetto, conta di creare altri 3-400 posti di lavoro. Come riporta CNBC, una volta a pieno regime, il nuovo centro di ricerca e sviluppo diventerà un quartier generale internazionale del business nel campo optoelettronico, una tecnologia utilizzata nei sistemi di comunicazione a fibra ottica sfruttati nei centri dati e nelle infrastrutture di rete.
Nel clima di forte contrapposizione politica tra Cina e Stati Uniti, cominciato molto prima dell'emergenza Covid-19, il fattore tecnologico ha sempre giocato un ruolo significativo, assieme a quello commerciale, come dimostra la vicenda di Meng Wanzhou, la direttrice finanziaria di Huawei arrestata in Canada nel dicembre 2018 in base ad un mandato di arresto emesso dagli Stati Uniti per presunta frode bancaria e presunta cospirazione negli affari commerciali con l'Iran. Fino a qualche mese fa, non pochi osservatori ipotizzavano addirittura che la guerra dei dazi voluta da Donald Trump potesse essere in realtà il volano di uno scontro più sotterraneo, voluto da consiglieri vicini al tycoon per ragioni ben diverse dall'acquisto di qualche fornitura di grano o dal rilancio della manifattura statunitense.
Nonostante le forti pressioni politiche esercitate dall'amministrazione Trump sia in patria che all'estero, però, Huawei ha continuato a crescere anche l'anno scorso, raggiungendo un fatturato record di 858,8 miliardi di yuan, pari a 108,02 miliardi di euro (+19,1% sul 2018), ed un utile netto di 62,7 miliardi di yuan, pari a 7,89 miliardi di euro (+5,6% sul 2018). La crescita è stata certamente trainata dalle vendite sul vasto mercato interno cinese ma, stando ai dati, sono aumentate le quote di mercato anche nel resto dell'area Asia-Pacifico e nello stesso Continente americano.
La partita per la tecnologia 5G, vinta nettamente sul tempo dalla Cina, ha trascinato con sé polemiche, accuse e veti senza precedenti. I principali detrattori della potenza asiatica agitano dinnanzi all'opinione pubblica il potenziale pericolo che il colosso digitale cinese rappresenterebbe se dovesse portare a compimento i suoi investimenti nei Paesi del blocco NATO.
Ma com'è strutturata Huawei? Huawei è una società privata ad azionariato diffuso (public company) che opera in più di 170 tra Paesi e regioni nel mondo, Italia compresa, e conta oltre 194.000 dipendenti, di cui 104.572 azionisti. Nulla dimostra concretamente, insomma, che l'azienda sia effettivamente «legata al governo cinese», come invece sostengono alcuni consiglieri dell'amministrazione Trump o altri analisti e media occidentali, quali Christopher Balding o il Wall Street Journal: accuse fin'ora sempre respinte dai vertici dell'azienda.
Eppure, quello di Huawei è solo il nome divenuto più noto, anche in seguito al massiccio ingresso nel mercato della telefonia mobile occidentale nel corso degli ultimi anni, ma ve ne sono altri pronti a mettere sul piatto i loro ingenti capitali e il loro know-how, come Baidu, Alibaba e Tencent, operativi in settori di mercato anche diversi tra loro, quali intelligenza artificiale, e-commerce/e-payment, machine learning, tecnologia finanziaria, servizi cloud e così via.
Tutto qui, insomma, sta il nodo della questione: Washington è davvero preoccupata per la sicurezza, la riservatezza e la protezione dei dati - governativi e privati - nazionali e dei suoi alleati o piuttosto teme di poter perdere, da qui al 2030, una leadership mondiale pressoché indiscussa sino a pochi anni fa?
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia