Hangzhou 2016. E' il realismo cinese la nuova stella polare del G20?

ca3517ec 23eb 11e6 80b1 a87df553e801 image hires(ASI) Lo scorso 5 settembre si è chiuso il sipario sull'ultimo vertice dei capi di governo del G20 nella città cinese di Hangzhou. Al di là delle questioni contingenti, come la risoluzione della guerra in Siria e lo stallo economico dell'Eurozona, che hanno maggiormente incuriosito la stampa generalista, il G20 di quest'anno ha fornito una visione di lungo termine concreta, individuando problemi e priorità su temi già discussi ad Antalya l'anno scorso e a Brisbane due anni fa, ma fino ad ora affrontati in modo probabilmente epidermico e poco efficace.

Il rallentamento della crescita su scala mondiale ed il paventato rischio di una prossima stagnazione globale hanno senz'altro spinto i principali leader mondiali a ricercare maggior consenso ed unità attorno ad una serie di punti condivisi, per evitare che le contrapposizioni politiche, commerciali e militari in atto nel pianeta ostacolino ancora per altro tempo il cammino verso una generale ripresa. In questo senso, il 2015 è stato forse un "anno zero" durante il quale la politica internazionale ha raggiunto un picco massimo (si spera...) di contrapposizione - tra Stati Uniti e Russia ad un primo livello globale e tra Arabia Saudita ed Iran ad un secondo livello regionale - l'economia ha registrato il crollo del prezzo del petrolio e i mercati finanziari hanno patito le turbolenze di una pesante volatilità, difficile da placare.

Il vertice di Hangzhou è dunque arrivato in una fase decisiva per l'attuazione di soluzioni idonee a superare i problemi. Prima dell'incontro di qualche giorno fa, la Cina era stata teatro di una serie di summit preliminari che hanno cercato di delineare alcune risposte concrete ai principali dubbi che attanagliano la governance globale. A fine giugno, la città settentrionale di Tianjin aveva ospitato l'Incontro Annuale dei Nuovi Campioni del Forum Economico Mondiale, una sorta di sessione estiva del Davos. Nell'ultima settimana di luglio, invece, Pechino prima e Chengdu poi avevano rispettivamente accolto i partecipanti al vertice dell'1+6 tra il premier cinese Li Keqiang e i massimi rappresentanti di FMI, Banca Mondiale, WTO, OECD, FSB ed ILO e i convenuti al meeting dei ministri delle Finanze del G20. Da questi incontri di alto livello erano emersi concetti-chiave riconducibili sinteticamente ai paradigmi dell'innovazione, dell'inclusione, della sostenibilità e della condivisione. Fatti propri anche dall'Europa, questi "indicatori" hanno cominciato a caratterizzare il dibattito mondiale già da qualche anno, a partire dalla fase successiva alla crisi internazionale del 2008-2009. In Italia ne abbiamo avuto un assaggio abbondante proprio lo scorso anno all'Expo di Milano, un evento che avrebbe dovuto fornire alla nostra comunità imprenditoriale nuovi strumenti di internazionalizzazione e che, anche a causa di un'ingenerosa campagna mediatica ostile, forse lo ha fatto solo in parte.

Nel mezzo, la Cina, padrona di casa di questo G20, aveva pubblicato il suo nuovo piano quinquennale di sviluppo socio-economico, che evidentemente mira a creare i presupposti affinché la potenza asiatica possa affermarsi quale leader mondiale indiscusso nel prossimo futuro: dall'introduzione di nuove forze motrici della crescita all'acquisizione di maggiori competenze nel campo dei servizi, dalla riforma strutturale dei consumi alla ristrutturazione della manifattura secondo nuovi criteri di connettività e digitalizzazione, dallo snellimento e dall'efficientamento della macchina amministrativa alla riduzione della pressione fiscale sui settori produttivi più dinamici, a partire dalle piccole e medie imprese innovative.

Il vertice di Hangzhou ha così potuto prendere in mano tutti questi spunti, inquadrandoli in modo più definito ed intrecciandoli - questa è la vera grande novità - con la riforma in atto in Cina. Mai prima d'ora nella storia del G20, i temi riformisti interni del Paese ospitante avevano trovato così tanti elementi in comune con quelli del summit, mostrando due importanti nuove tendenze internazionali. Anzitutto, che la Cina è ormai un attore imprescindibile nella determinazione degli equilibri politici ed economici globali. In secondo luogo, che i suoi obiettivi di medio periodo corrispondono in buona parte ai propositi del processo di ristrutturazione dei fondamentali economici mondiali, dal riorientamento industriale alla stabilizzazione dei mercati finanziari, dal rilancio degli investimenti infrastrutturali alla riduzione della povertà e del sottosviluppo.

I quarantotto punti esposti nel documento finale del G20 affrontano tutte le questioni più urgenti, senza troppi eccessi di diplomazia né tralasciando le crisi politiche ancora aperte che dividono non solo l'Occidente da Russia e Cina - sulla crisi siriana e sulla questione degli arcipelaghi contesi nel Mar Cinese Meridionale - ma anche l'Occidente al suo interno, con un'Europa spaccata tra posizioni contrapposte in merito alle soluzioni da adottare per risolvere il problema dei migranti.

L'Hangzhou Consensus, esplicitamente richiamato nel testo, si candida presumibilmente a superare e sostituire, ventisette anni dopo, il Washington Consensus, proponendosi come nuovo progetto di architettura globale, fondato su quattro colonne portanti:

- La visione d'insieme, per scoprire nuovi orizzonti di crescita e trasformare le economie in senso più innovativo e sostenibile

- L'integrazione, per armonizzare la crescita economica con le politiche sociali, la regolazione della domanda con le riforme dell'offerta, l'innovazione delle forze di sviluppo con la salvaguardia dell'ecosistema e, tra di loro, le politiche fiscali, monetarie e strutturali dei diversi sistemi nazionali

- L'apertura, per promuovere il commercio e gli investimenti, rimuovendo le barriere protezionistiche che ne hanno finora ostacolato in modo iniquo la libertà di movimento, in favore di un sistema di regolazione commerciale multilaterale più solido e condiviso

- L'inclusione, per garantire che lo sviluppo economico vada incontro ai bisogni reali di ognuno e che produca beneficio per tutte le nazioni e i popoli, creando posti di lavoro di maggiore qualità, riducendo le diseguaglianze e sradicando la povertà affinché nessuno sia lasciato indietro

Tutti gli strumenti - monetari, fiscali e strutturali - necessari alla crescita e alla stabilità finanziaria dovranno dunque essere messi in campo senza escludersi l'uno con l'altro, nella consapevolezza che i soli interventi monetari non bastano per assicurare una crescita equilibrata. La politica di flessibilità fiscale, adottata negli ultimi tempi dalla Cina - che nel solo 2015 ha tagliato 40,3 miliardi di euro di tasse a vantaggio delle sue imprese - diventa così una via maestra anche per i leader di un'Europa che sembra avere finalmente compreso l'insufficienza del quantitative easing, sul quale la BCE ha lungamente insistito negli ultimi diciotto mesi, senza ottenere grandi risultati.

Politiche fiscali e spesa pubblica devono dunque assumere una piega orientata allo sviluppo. I capi di governo delle prime venti economie del pianeta hanno inoltre convenuto sulla necessità di affrontare i limiti all'offerta e di accrescere la produttività in modo sostenibile, ricorrendo all'innovazione, vista come forza motrice dello sviluppo nel lungo periodo, sia per i singoli Paesi che per l'economia mondiale nella sua interezza.

A questo proposito, è stato lanciato il Piano di Azione per l'Innovazione 2016 del G20 per delineare politiche e strategie a sostegno degli investimenti STI, cioè nella scienza, nella tecnologia e nell'innovazione, rendendo più dinamiche e competitive non soltanto le imprese in quanto tali ma anche le singole risorse umane impiegate. Uno dei passaggi fondamentali nella facilitazione dell'innovazione è la ridefinizione, già affrontata ad Antalya, dei meccanismi pratici e giuridici di protezione della proprietà intellettuale, altra materia su cui la Cina sta intervenendo in modo deciso e spedito, dopo anni di dibattiti e polemiche in merito. L'applicazione delle nuove tecnologie di interconnessione, quali l'Internet of things, e di digitalizzazione dei processi produttivi e commerciali sarà, a detta di tutti i leader del G20, la base materiale per quella che molti osservatori hanno già definito come la quarta rivoluzione industriale. Anche in questo caso, secondo il documento conclusivo del summit, saranno le micro, piccole e medie imprese a recitare un ruolo decisivo e dovranno, perciò, essere agevolate e supportate da adeguate misure.

Laddove la politica deve invece intervenire in senso restrittivo, secondo il parere del G20, è l'ambito dei mercati finanziari, allo scopo di migliorare l'analisi e il monitoraggio dei flussi di capitale e di rafforzare la gestione dei rischi, arginando così gli eccessi di volatilità. Anche in questo caso, si tratta di un'istanza cara a Pechino, che durante la scorsa estate aveva risposto alle pesanti perdite sulle piazze mainland di Shanghai e Shenzhen con ripetute iniezioni di liquidità sui mercati da parte della banca centrale. In tal senso, i 20 hanno salutato con favore il lavoro congiunto del FMI, del Financial Stability Board e della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea nello sviluppo e nel consolidamento di politiche macroprudenziali di limitazione dei rischi sistemici.

Trasparenza, facilitazione degli investimenti, rimozione delle barriere commerciali inique e attenzione alla sostenibilità ambientale trovano ampio risalto nel quarto capitolo del documento, dedicato al rafforzamento del commercio e degli investimenti internazionali. In questo caso ad incontrarsi sono l'appello mondiale rivolto alla Cina (e agli Stati Uniti) a ridurre ulteriormente le emissioni nocive e la richiesta di Pechino, che pretende almeno il rispetto di quanto stabilito dall'articolo 15 del protocollo di adesione al WTO ratificato nel 2001, ossia la rimozione della procedura del "paese surrogato" nelle inchieste anti-dumping sul proprio export.

Più globalmente, il G20, che ha accolto con favore l'ingresso della valuta cinese nel paniere dei diritti speciali di prelievo del FMI, non può esimersi dal riconoscere lo status di economia di mercato alla seconda economia mondiale, nonché prima potenza commerciale mondiale, tanto più alla luce di una riforma interna pronta a ridurre il ruolo dello Stato nelle grandi aziende e a tagliare l'overcapacity laddove ritenuto necessario, a partire dal lungamente discusso settore siderurgico, come sottolineato anche nel documento conclusivo dei 20.

Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia

 

 
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