(ASI) Tra il 26 e il 28 giugno scorsi, la città settentrionale cinese di Tianjin, uno dei maggiori poli industriali e portuali del Paese, ha ospitato l'Incontro Annuale dei Nuovi Campioni, una sorta di vertice estivo del Forum Economico Mondiale (WEF) di Davos, giunto ormai alla sua decima edizione e dedicato primariamente alle implicazioni della scienza, della tecnologia e dell'innovazione nel campo dello sviluppo economico.
L'incontro, incentrato sul tema La Quarta Rivoluzione Industriale e le sue Conseguenze Trasformazionali, ha così cercato di chiarire meglio il concetto di Industria 4.0, coniato originariamente durante la Fiera della Tecnologia di Hannover nel 2011, ma ancora da definire con precisione e poco noto al pubblico generalista e ai non-addetti ai lavori. Il WEF se n'era già occupato a Davos nel gennaio scorso, cercando così di diffondere in modo più capillare e comprensibile le linee-guida individuate meno di quattro anni fa da un gruppo di studio guidato dagli ingegneri tedeschi Siegfried Dais e Henning Kagermann, che pubblicò un documento destinato ad incidere sulla storia di questo secolo, dal titolo Raccomandazioni per l'implementazione dell'iniziativa strategica "Industrie 4.0".
La Cina, tra i principali partner economici della Germania, ha sposato questa grande sfida internazionale facendone esplicito riferimento tra gli obiettivi citati dal nuovo piano quinquennale, che a sua volta inquadra le direttrici dello sviluppo socio-economico nel periodo 2016-2020. Per ora l'idea generale legata a questa nuova rivoluzione riguarda la capacità di applicare la tecnologia digitale alla produzione industriale, sfruttando la connessione tra sistemi e le interazioni fisico-virtuale e uomo-macchina (Cyber-Phisical Systems) per massimizzare la catena del valore e la logistica aziendale. Dal canto suo, Pechino ha lanciato contemporaneamente il piano Made in China 2025 per la promozione della manifattura innovativa e ad alto valore aggiunto ed il piano Internet+ per lo sviluppo nazionale nell'ambito del cosiddetto "Internet delle cose" (Internet of Things), ossia l'utilizzo della rete come strumento di ottimizzazione della produzione, del commercio e della logistica attraverso l'invio, automatico ed in tempo reale, di informazioni e comunicazioni.
Se il documento del gruppo di Dais e Kagermann si propone esplicitamente come viatico per il rilancio della manifattura tedesca, tentando così di salvarla dal generale declino industriale occidentale degli ultimi trent'anni, la Cina ha il vantaggio di poterne mutuare le principali innovazioni proposte proprio quando è appena iniziato il percorso di terziarizzazione della sua economia. In estrema sintesi, il gigante asiatico potrà fondere in un unico grande processo la terza e la quarta rivoluzione industriale, non dovendo rilanciare la sua manifattura, ancora molto forte, ma potendo semplicemente razionalizzarla e convertirla ai nuovi criteri della smart factory.
«Servono dieci anni per far crescere un albero»
Con questo proverbio cinese, il primo ministro Li Keqiang ha introdotto i lavori del meeting, sottolineando come i frutti siano ormai maturi per essere raccolti dai rami di una pianta seminata nel 2007. La sessione estiva del WEF «ha mostrato al mondo i processi e i risultati delle riforme, dell'apertura e della modernizzazione della Cina» conferendo «conoscenza e forza allo sviluppo condiviso e alla prosperità del nostro Paese e del mondo», ha affermato Li.
Il premier cinese ha ricordato i duri anni della crisi internazionale, esplosa nel 2008, e le ricette tentate dai governi di tutto il mondo per rilanciare le proprie economie, stimolando la crescita. Eppure, otto anni dopo, l'onda lunga di quella pesantissima bolla finanziaria statunitense ha bloccato la ripresa, rallentato il commercio globale e gli investimenti, generato di volta in volta la volatilità delle materie prime e dei mercati finanziari, allontanato le prospettive dei Paesi sviluppati da quelle dei Paesi emergenti e accresciuto i fattori di rischio geopolitici e gli elementi destabilizzanti.
A questa difficile congiuntura, Li ha aggiunto la recente decisione del popolo del Regno Unito di lasciare l'Unione Europea che «sta già avendo un impatto sui mercati finanziari internazionali, aumentando l'incertezza del quadro economico mondiale». Proprio a tale proposito, il governo cinese ha ribadito la sua piena disponibilità a mantenere ed intensificare le sue relazioni con entrambi i partner, augurandosi di avere a che fare con «un'Europa stabile e coesa» e con «un Regno Unito stabile e prospero».
Oltre ai dati macroeconomici - in primis il tasso di crescita al 6,7% ed uno stabile indice dei prezzi al consumo nel primo trimestre del 2016 - che confortano e confermano la fase di nuova normalità del sistema-Paese cinese, Li ha segnalato tre modalità prioritarie attraverso cui promuovere una stabile ripresa:
1. L'avanzamento delle riforme strutturali negli ambiti della fiscalità e della finanza, della semplificazione legislativa, della facilitazione concorrenziale, del sostegno all'innovazione e dell'estensione dell'apertura;
2. L'accelerazione della trasformazione e dell'aggiornamento dell'economia, rinnovando il modello dello sviluppo e rimpiazzando più velocemente i vecchi fattori trainanti con altri nuovi, a partire dagli strumenti e dai materiali che le nuove tecnologie mettono a disposizione;
3. La costruzione di un governance globale efficiente ed ordinata, che veda congiuntamente e solidalmente impegnate le nazioni nel raggiungimento del comune scopo del progresso, adottando politiche più funzionali allo sviluppo, rafforzando la coordinazione delle politiche macro, promuovendo la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, rifiutando il protezionismo e costruendo un sistema economico internazionale più giusto e più equo.
L'economia cinese è «ad un punto cruciale della sua transizione - ha proseguito Li - dalle vecchie alle nuove forze produttive» e si concentrerà sull'urgenza della crescita stabile secondo le nuove cinque parole d'ordine dello sviluppo nazionale: innovazione, coordinazione, verde, apertura e condivisione.
Nuovo centro globale?
In attesa del prossimo G20, in programma a Hangzhou nel settembre prossimo, in occasione del meeting di Tianjin si è a lungo discusso di governance e dell'agenda che le principali 20 economie mondiali dovranno discutere per i prossimi anni. Si tratta di una fase significativa non solo per la Cina ma per tutto il mondo, che sta vivendo una fase di profonda incertezza dopo il rallentamento globale dell'economia registrato lo scorso anno per effetto di concause ormai note: la caduta del prezzo del petrolio, il calo della domanda europea e la contrazione del commercio mondiale.
Recentemente, il Fondo Monetario Internazionale ha corretto al rialzo le stime di crescita cinesi dello 0,2%, in controtendenza con la media globale corretta al ribasso. Questo induce ad affermare due cose a proposito dell'economia cinese. Prima di tutto che essa sta resistendo, meglio di quanto molti pensassero fino a pochi mesi fa, all'impatto della crisi generale. In secondo luogo, che potrebbe tornare a guidare la ripresa mondiale molto presto e su nuove basi.
Per buona parte del 2015 e nel primo trimestre del 2016, è stata l'India a crescere più di tutti con tassi superiori al 7%. Tuttavia, il gigante guidato dal premier Narendra Modi non si è ancora nemmeno avvicinato ai livelli di produttività e di competitività del vicino cinese. Si tratta di sostanziali differenze quantitative ma anche e soprattutto qualitative, che vedono Pechino raggiungere in netto anticipo l'avvio definitivo di una fase di terziarizzazione, cominciata ufficialmente lo scorso anno, quando il contributo al PIL del settore dei servizi ha superato quota 50%. Dopo aver a lungo gettato le premesse per uno sviluppo concreto nei campi dell'innovazione, dell'alta tecnologia e della finanza, ora la Cina può mettere a frutto quanto seminato e proporsi come leader globale a 360 gradi.
Nel suo recente approfondimento 8 things you need to know about China’s economy, Jonathan Eckart, analista del Forum Economico Mondiale, ha osservato come la Cina, capace in appena 38 anni di tirare fuori dalla povertà ben 800 milioni di persone e di aumentare il PIL pro-capite di quasi 49 volte, stia progressivamente riguadagnando il predominio economico che già aveva all'alba del XIX secolo. Nel 1820, infatti, il Celeste Impero, dominato dalla Dinastia Qing, era la prima economia al mondo. Nel giro di alcuni decenni, tutto sarebbe cambiato: le guerre dell'oppio, le perduranti occupazioni ed invasioni coloniali e la dissoluzione della monarchia indebolirono la Cina, che fallì l'appuntamento con le riforme ti-yong alla fine del secolo, perdendo tutto il suo vantaggio sulle ormai floridissime economie occidentali. Il sorpasso ai danni degli Stati Uniti è previsto entro il 2030, dunque già nella prossima decade. Non resta che osservare per capire se la Cina tornerà al prestigio perduto. Nel frattempo, tra Tianjin e Hangzhou viaggia il dibattito sullo sviluppo globale dei prossimi anni. Un altro segno dei tempi che cambiano.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia