Cina. Economia: un primo trimestre significativo

(ASI) Il rallentamento della crescita cinese e la sfiducia degli investitori avevano contrassegnato un 2015 teso e a tratti turbolento sui mercati internazionali. Non era soltanto la situazione economica cinese a preoccupare gli analisti.
C'era una situazione mediorientale politicamente sempre più incandescente, a partire dalla guerra siriana e dallo scontro tra Iran e Arabia Saudita, ed il prolungato ribasso del prezzo del petrolio aveva messo in allarme molti economisti sul pericolo di una grande stagnazione globale. Tuttavia, le incertezze sollevate da molti osservatori sulle effettive capacità di ripresa che la seconda economia mondiale avrebbe dovuto mettere in campo, erano già state sufficienti a generare ondate di panico sulle piazze di tutto il mondo, innescando una straordinaria volatilità.
Il primo trimestre del 2016 era dunque molto atteso per capire cosa esattamente stesse succedendo in Cina. Sebbene gran parte dei timori derivassero da un certo sensazionalismo mediatico, nel sistema economico cinese c'erano tracce evidenti di prime difficoltà dopo molti anni di crescita sostenuta. Il governo stesso riconosce che al momento il Paese è «in una fase critica di trasformazione e di aggiornamento o sostituzione dei vecchi fattori di crescita con altri fattori nuovi».
Nel primo trimestre del 2016, il PIL cinese è cresciuto del 6,7% su base annua, leggermente al di sotto del dato complessivo del 2015 (+6,9%) ma sostanzialmente stabile considerando la forbice indicata dal governo per il 2016, compresa tra il 6,5% e il 7%. Eppure, limitarsi ai punti decimali percentuali del dato produttivo sembra non bastare per capire cosa sta avvenendo nel Paese di mezzo. Andando più in profondità, notiamo che il valore aggiunto del settore agricolo è cresciuto del 2,9% su base annua, quello del settore industriale del 5,8% mentre quello del terziario addirittura del 7,6%, cioè su ritmi più alti di quasi un punto percentuale rispetto a quelli complessivi (+6,7%).
Questo primo indizio evidenzia un trend a cui, stando alle intenzioni di Pechino, dovremo abituarci molto preso. A quasi trentotto anni dall'introduzione delle politiche di riforma e apertura, ispirate alla teoria delle quattro modernizzazioni di Deng Xiaoping, la Cina pare aver raggiunto un suo primo picco di sviluppo industriale che ora le consente di puntare sull'incremento dei servizi e sul miglioramento dei consumi interni. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in Occidente inaugurammo questo percorso nel segno della cosiddetta economia post-industriale, caratterizzata proprio dal crescente primato del terziario e dal ruolo determinante giocato quasi simultaneamente dall'innovazione, dall'automazione e dall'informatizzazione. In Cina questo processo sarà sicuramente qualcosa di diverso per varie ragioni - prime fra tutte la peculiare natura del sistema politico nazionale, ovvero «socialista con caratteristiche cinesi», la "giovane età" del mercato azionario, dove pesa ancora una fisiologica inesperienza, ed una cultura/mentalità molto diversa da quella occidentale.
Nel primo trimestre di quest'anno, la manifattura è cresciuta del 6,5%, leggermente al di sotto del PIL, mentre l'industria hi-tech del 9,2%. I servizi hanno invece contribuito al 56,9% del PIL, due punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2015 e 19,4 punti percentuali in più rispetto al settore industriale che, a sua volta, registra tassi di crescita su base annua del 7% nelle regioni centrali e del 7,3% nelle regioni occidentali, ovvero rispettivamente lo 0,7% e l'1% in più delle regioni orientali, affacciate sul mare. Le zone costiere e pre-costiere, che hanno sfruttato al massimo la loro posizione strategica nel corso degli ultimi trentacinque anni, sono infatti quelle storicamente più sviluppate e la necessità di un maggior bilanciamento regionale lascia ora più spazio ai settori industriali delle regioni autonome (Tibet, Xinjiang, Mongolia Interna, Ningxia e Guangxi) e in generale di quelle più periferiche.
Non a caso, è nelle regioni orientali che sorge la maggior parte delle zone economiche speciali più importanti, tra cui la mastodontica zona-pilota di libero scambio di Shanghai, inaugurata alla fine del 2013 quale vera e propria testing area per la sperimentazione e la valutazione delle riforme economiche che, dimostrata la loro efficacia, saranno poi applicate a tutto il Paese. Nel 2015 quest'area, inizialmente circoscritta al distretto commerciale e logistico di Pudong, si è espansa sino a raggiungere gli attuali 120,72 km2 di superficie, inglobando il distretto di Lujiazui, cuore finanziario della città e della nazione, il distretto per lo sviluppo economico e tecnologico di Jinqiao e il parco hi-tech di Zhangjiang. E' stato un segnale che in pochi hanno colto in Europa, eppure la forte spinta verso la diversificazione produttiva, l'innovazione e l'offerta di servizi commerciali, logistici e finanziari avviata a Shanghai avrebbe dovuto immediatamente essere recepita come una dichiarazione di intenti del governo per la riforma dell'intero sistema economico cinese.
Nel primo trimestre del 2016, la vendita al dettaglio dei beni di consumo ha registrato un aumento reale del 9,7% su base annua e dello 0,85% tra febbraio e marzo. I consumi sono saliti del 10,2% nelle aree urbane e dell'11% nelle aree rurali. In particolare, il settore della ristorazione ha segnato un aumento dei ricavi pari all'11,3%. Anche il settore immobiliare sembra poter godere di una nuova stagione di salute, con un aumento reale degli investimenti pari al 9,1% su base annua, cioè 5,2 punti percentuali in più rispetto al primo trimestre del 2015. Nel primo trimestre, complessivamente, il volume di vendita degli edifici commerciali è aumentato del 54,1%, sebbene l'acquisto di nuovi terreni da parte delle imprese sia sceso dell'11,7%. Questo significa che presumibilmente, dopo gli anni del gigantesco sviluppo edilizio, ora si cerca di raccogliere quanto seminato, onde evitare i rischi di una bolla immobiliare dalle conseguenze imprevedibili in un mercato vastissimo come quello cinese.
I piani di adeguamento dei salari, sulla scia della Legge sul Lavoro del 2007 e della Legge sul Contratto di Lavoro del 2008, hanno sortito dunque i loro effetti. Nel primo trimestre di quest'anno, il reddito medio disponibile è cresciuto dell'8,7% (nominale) su base annua, dopo essere già cresciuto del 7,4% nel 2015 rispetto all'anno precedente. Malgrado un generale aumento dei prezzi al consumo (+2,1%), e nello specifico dell'abbigliamento (+1,7%), delle case (+1,3%), degli articoli e dei servizi di uso quotidiano (+0,4%), la maggiore liquidità a disposizione delle famiglie cinesi consente loro di accedere a beni e servizi più e meglio che in passato, consolidando una classe media sempre più numerosa.
La Cina, dunque, si sta muovendo a passi sempre più decisi verso una dimensione di economia di servizi, abbandonando lentamente il ruolo di "fabbrica del mondo" che l'ha resa celebre almeno fino alla fine degli anni Novanta, ispirando diverse economie minori del Sud-est asiatico, con una grande eccezione: Singapore. La città-Stato a maggioranza etnica cinese, amministrata per lungo tempo dal compianto leader Lee Kuan Yew, aveva già avviato un percorso analogo negli ultimi due decenni del XX secolo, sviluppando servizi di qualità, una rete logistica (primariamente doganale-portuale) di livello internazionale, il miglior clima per gli investimenti al mondo, un welfare concreto e strutture sanitarie tra le più qualificate al mondo.
Quello di Singapore è un sistema-Paese dinamico, altamente efficiente, competitivo ma al contempo "egualitario e comunitario", dove l'industria, grazie alla sua capacità di innovarsi ed adattarsi alle esigenze contemporanee, mantiene un suo ruolo di riferimento tanto da contribuire tutt'oggi al 25-26% del PIL, evitando così gli eccessi della terziarizzazione e i pericoli della deindustrializzazione, già sperimentati a caro prezzo da potenze occidentali come Gran Bretagna e Francia. Nei limiti del possibile e nelle giuste proporzioni, il "modello Singapore" sembrerebbe così la pietra di paragone più verosimile per cercare di capire cosa potrebbe avvenire in Cina nei prossimi quindici anni. Ben sapendo che sarà qualcosa di completamente nuovo, l'epocale riforma pensata dal presidente Xi Jinping cambierà definitivamente il volto del Paese e, di conseguenza, gli equilibri politici ed economici mondiali.

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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