(ASI) Nella giornata di domenica 20 dicembre si sono svolte in Spagna le elezioni legislative per il rinnovo del Parlamento e del Governo.
Quattro i principali sfidanti: Mariano Rajoy del Partito Popolare (Partido Popular, P.P.) di centrodestra, Pedro Sánchez del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Partido Socialista Obrero Español, P.S.O.E.) di centrosinistra, Pablo Iglesias Turrión di "Possiamo" (Podemos) con un orientamento ascrivibile all'interno del "populismo" affine alle posizioni "radicali" della sinistra e anti-Unione Europea, e Albert Rivera di "Cittadini" (Ciudadanos) movimento politico anche esso populista ma tendente al liberismo progressista ed eurocritico.
Elezioni che già durante la campagna elettorale si prevedeva che sarebbero finite con molte soprese. In Spagna vige il bipolarismo/bipartitismo tra popolari e socialisti fin dalla fine del Regime Franchista. Con il voto di domenica questo sistema di ricambio politico è stato "messo in soffitta".
Il Partito Popolare ha registrato il 28,7% dei consensi conquistando 123 seggi nel Congreso de los diputados (Camera), il Partito Socialista 22,0% con 90 seggi, Podemos 20,7% con 69 seggi e Ciudadanos 13,9% con 40 seggi. Il partito di Mariano Rajoy è ancora quello con maggiori posti in Parlamento, ma non raggiunge la soglia dei 176 seggi necessari per governare autonomamente, aprendo così la ricerca di una coalizione per la formazione del governo. Rajoy subito dopo l'annuncio dei risultati, ha affermato di voler cercare di costituire un governo stabile: <<Cercherò accordi, dialogherò ma nell'interesse del Paese. Gli spagnoli hanno fatto tanti sacrifici, ora dobbiamo perseverare, mentre so che molte persone sono in difficoltà e bisogna creare nuovi posti di lavoro. La Spagna ha bisogno di stabilità, sicurezza, certezza e fiducia>>.
Le prospettive sono diverse. Guardando nel centrodestra, ci potrebbe essere una convergenza tra Partido Popular e Ciudadanos – il cui leader Rivera ha dichiarato che i suoi 40 deputati saranno fondamentali nella formazione del governo –, ma una tale alleanza non raggiungerebbe comunque la soglia dei 176 seggi. Allora si potrebbe ipotizzare un'alleanza che va per la maggiore tra i filo-U.E. sia di destra che di sinistra in tutta l'Europa: un governo di unione tra i socialisti e i popolari cioè un'alleanza tra centrodestra e centrosinistra, o che nelle sedi istituzionali viene chiamata coalizione "alla tedesca".
Prendendo in analisi il centrosinistra, è ipotizzabile un'alleanza tra il Partido Socialista Obrero Español, Podemos, rappresentanze comuniste e alcune liste di stampo regionale. Si riuscirebbe ad arrivare ad una soglia di seggi "stabile", ma un'alleanza siffatta è alquanto dura da raggiungere per la troppo eterogeneità dei componenti. Come sarebbe troppo diversificata una coalizione composta da P.S.O.E. – Podemos – Ciudadanos, che comunque arriverebbe a 199 seggi. E al netto di tutto ciò, il segretario e candidato premier dei socialisti Pedro Sánchez ha dichiarato che debba essere Rajoy a tentare di formare il nuovo governo.
Il giro di consultazione per la formazione del Governo inizierà nella meta di gennaio 2016. E il primo tentativo di formare una maggioranza spetterà a Mariano Rajoy, visto che i popolari sono il primo partito. Ma come detto, il rischio di non arrivare ad un governo stabile o comunque ben classificato di centrodestra o di centrosinistra e avendo sullo sfondo la possibilità dell'alleanza filo-U.E. dei socialisti-popolari (ipotesi che nei due diversi partiti è vista come da evitare, proprio per non finire come nel resto dell'Unione Europea, dove queste alleanze garantiscono la stabilità dei governi, ma favoriscono i partiti anti-sistemici che possono facilmente stigmatizzare l'operato di tali alleanze governative come "inciuci" del potere che non vuole l'arrivo del "nuovo" impersonato da loro), è altamente presente.
In molti classificano l'attuale situazione spagnola come politica "all'italiana", dove nel "Bel Paese" è norma da sempre i governi di coalizione che nella maggior parte dei casi sono litigiosi e poco durevoli. Nel tutto, riprende importanza la monarchia spagnola. E per il giovane neo Re Felipe VI, insediatosi diciotto mesi fa, si apre un compito quello di "arbitro e moderatore" al quale il padre Juan Carlos I non era mai stato chiamato. Se i partiti maggiori non riusciranno a formare un governo, allora Felipe VI dovrà ascoltare i leader di tutte le forze rappresentate in Parlamento per trovare le possibilità di patti e accordi.
Nonostante l'incertezza del risultato finale, il voto di domenica è comunque storico. La Spagna dice addio al bipartitismo che con una durata trentennale aveva mantenuto il posto di protagonista nell'alternarsi della politica nello Stato iberico.
Anche in Spagna come in tutta l'Unione Europea, i vecchi sistemi vacillano e i rampanti e roboanti movimenti politici anti-sistemici spingono per vincere e mandare in pensione i primi. Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Polonia... e l'elenco non sembra finire di crescere. L'accusa di "inconsistenza" rivolta ai partiti populisti, si trasferisce come "carattere" precipuo dei rappresentati dei vecchi sistemi. Di fatto, ed ora anche in Spagna, gli unici ad essere inconsistenti e vacillanti sono governi e partiti filo-U.E.
Federico Pulcinelli – Agenzia Stampa Italia