(ASI) Alla Monnaie torna l'Opera buffa grazie a "Don Pasquale" di Gaetano Donizetti, in scena dal prossimo 9 dicembre. A interpretarlo il basso Michele Pertusi che ritorna a Bruxelles dopo le esperienze di "Falstaff", "La Sonnambula" e "I Puritani".
Lo abbiamo intervistato durante le prove mentre fuori è una di quelle giornate tipicamente belghe con il clima che lascia a desiderare: "A Parma non è tanto migliore la situazione con la Pianura Piadana, con la nebbia del Po", ci dice Pertusi.
Come presenterebbe l'opera "Don Pasquale" a chi non l'ha mai vista?
Cercherei di far capire che è tratta dalla grande tradizione della farsa buffa napoletana dove il vecchio benestante che vuole sposare una giovane - e qui ci si riallaccia anche alla commedia dell'arte - è una condizione vivamente sconsigliata. Bisogna poi tener presente che "Don Pasquale" è il crepuscolo dell'opera buffa italiana, intesa come tradizione napoletana, anche se qui c'è una vena malinconica che fa riflettere, un'opera che ha un peso nel Romanticismo dove il tenore è una delle figure prodromo del Romanticismo con pagine molto melanconiche e sofferte. Tutto questo in un ambito di un'opera che ha un fondo brillante e divertente. Dopo "Don Pasquale" grandi opere buffe di questa tradizione non ne sono state più scritte.
E nello specifico, "Don Pasquale" con la regia di Laurent Pelly?
È un allestimento diventato storico anche se per me è la prima volta. Qui è indovinato come approccio il fatto che si riesce a coniugare la tradizione teatrale-musicale di opere brillanti con una verità temporalmente portata vicina a noi: non è un Settecento o un Ottocento rivisitato, ma è un allestimento con abiti moderni ma con una concezione di teatro musica indovinatissima.
Che impronta darà Michele Pertusi a questo "Don Pasquale"?
Non è niente di rivoluzionario: la mia storia è sull'onda del bel canto, come formazione sono quel tipo di cantante. Nell'affrontare "Don Pasquale" e anche Dulcamara de "L'elisir d'amore" voglio invece mettere in evidenza la caratteristica del basso parlante e non del basso cantante. Il lavoro parte dal recitar cantando ma rispettando l'andamento melodico. Non è che uno parla, ma è un modo di cantare che strizza l'occhio alla lingua parlata: ci sono molte occasioni di recitativi lunghi e che hanno vari episodi all'interno. Mi piacerebbe, dunque, come stiamo parlando io e lei che abbiamo degli accenti, degli accelerandi e dei rallentandi diversi, a seconda di quello che stiamo dicendo, io vorrei fare capire questo andamento nella musica e portarlo verso il parlato naturale ovviamente con dei ritmi, delle note, una scrittura musicale da rispettare. La mia fonte di ispirazione potrebbe essere individuata in Sesto Bruscantini.
L'opera di Donizetti ben si presta a ciò con il suo ritmo serrato...
In "Don Pasquale" c'è un ritmo serrato, ma con dei momenti di riflessione, delle piccole incastonature in un momento vorticoso e mi piacerebbe riuscire a sottolinearle, che il pubblico capisse quello che io intendo. È chiaro poi che mi rivolgo a un pubblico che nella più parte non conosce l'italiano e soprattutto il colore dell'italiano arcaico, aulico dei libretti d'opera. Per me diventa uno sforzo doppio per cercare di rendere l'idea della lingua parlata che diventa teatro in musica.
Giovanni Zambito