(ASI) L'AQUILA - Tra tutti i temi trattati nel corso dell’incontro, delle settimane scorse, che il premier Gentiloni ha avuto al Cremlino, è entrato anche il ringraziamento degli aquilani, e degli italiani tutti, per l’intervento finanziario della Russia che ha consentito la ricostruzione del palazzo Ardinghelli dell’Aquila, semidistrutto dal terremoto del 2009, dove il ministro Franceschini ha disposto l’apertura di una sezione del Maxxi di Roma.
Intervento finanziario che ha particolarmente interessato l’associazione “L’Aquila siamo noi”, perché la città tornasse ad avere uno dei suoi più prestigiosi palazzi storici. Ma anche per l’impegno – come ha confermato il vicepresidente del sodalizio, Alfredo Montuori – espresso dal Presidente Putin ad intervenire per la ristrutturazione di altri centri d’arte della città.
Per cui “L’Aquila siamo noi”, nelle settimane scorse, ha “celebrato” la lungimiranza dell’Ambasciata della Federazione Russa nella Repubblica Italiana (rappresentata dall’eccellenza Sergey Razov) per lo splendido recupero di palazzo Ardinghelli, per il quale ha versato un cospicuo contributo (e seguendone ininterrottamente i lavori) che è stato aggiunto al finanziamento dell’opera di 1,5 milioni di euro del Mibac, ora proprietario dello stesso edificio. La “celebrazione-ringraziamento” è stata espressa con una serie di eventi di musica classica: “Ricostruire la memoria per salvare il futuro. La Russia a L’Aquila. Otto anni dopo”, svolti entro l’ambasciata russa a Roma.
Non a caso si è voluto far “memoria per salvare il futuro”, poiché il cospicuo palazzo barocco, eretto su disegno di Francesco Fontana, nel 1732-38, da Filippo Ardinghelli e da suo fratello l’arciprete Francesco, aveva ed ha la particolarità di un dialogo che ambientalmente si intreccia con la vasta piazza Santa Maria Paganica e la preziosa monumentale chiesa omonima. Ed anche per questo, nell’ultimo decennio del Milleottocento, il grande maestro dell’Ottocento italiano Teofilo Patini, Venerabile della loggia massonica aquilana che recò poi il suo nome, ne fece la sua dimora (piuttosto modesta) e il suo atelier (affrescato nel 1739 dal veneziano Vincenzo Damini), dopo aver dato alla città la scuola d’arte dell’Emiciclo.
Artista d’impegno sociale e “ritrattista” profondo ed attento osservatore della realtà contadina del suo Abruzzo, Patini produsse opere ammirate ora come allora dall’intero mondo pittorico internazionale. La prima a lodarle fu la regina d’Italia Margherita di Savoia che “...si commosse dinanzi ai bozzetti di Vanga e Latte, di Bestie da soma e dell’Erede”, come riferiscono le cronache. Opere queste, come altre, tese al riscatto della condizione femminile del tempo. La donna alla quale Patini si ispira “è la donna forte operosa che non recede dinanzi alle difficoltà del presente, ma le fronteggia con sicurezza discreta, senza vanità e senza sforzo, che si ritrova negli antichi pittori abruzzesi come Andrea Delitio...Sempre le donne di Patini sono colte nel vivo di un’attività...Talvolta un uomo piange; ma le donne non piangono mai, anche se stremate, non una lacrima scende dal loro ciglio”, come scrive Nicola Ciarletta.
E furono queste raffigurazioni che diedero vitalità all’esposizione delle opere del “pittore dei cenci” - come Teofilo Patini venne chiamato da Vittorio Emanuele III - quasi a configurare la “casa della pittura” che presto sarà realizzata, per decisione del Ministro per i Beni culturali Franceschini, con l’istituzione della sezione dell’Aquila del Maxxi di Roma. Un contenitore museale di opere contemporanee fra le più significative del XX secolo, parte delle quali L’Aquila “ammirò”, dal 1962 al 1985 ed oltre, entro le ripetute sue mostre: “Alternative Attuali” di cui s’ebbe l’eco in Europa e negli Usa. Seppur minimo e limitato, rispetto al cospicuo contenitore culturale che è L’Aquila, il ricostruito palazzo Ardinghelli avvia il “ritorno” alla grande memoria aquilana per salvare il futuro delle nuove generazioni abruzzesi.
Amedeo Esposito