(ASI) Boni Castellane sostiene che la Chiesa del nostro tempo stia “operando nella direzione indicata da Friedrich Nietzsche a proposito della “trasvalutazione di tutti i valori”.
Bisogna prendere atto che esiste, oggi, un asse nichilista tra tutti i settori modernisti della Chiesa e la sinistra transumanista, basato sull’idea che è il mondo che salva il mondo, che ogni riferimento ai valori è da ritenersi simbolico e sempre suscettibile di adattamento e che il criterio in base al quale uniformare ogni atto umano è sociale e quindi politico” (Se pure Zuppi snobba il Vangelo, il presepe gay non deve stupire, La Verità, giovedì 28 dicembre 2023, p. 5).
Don Gianni Baget Bozzo aveva già analizzato la situazione della Chiesa postmoderna in un libro pubblicato da Mondadori nel 2001, L’Anticristo. Baget Bozzo descrive il profilo del “nichilismo neocristiano”:
«Il nichilismo penetra nel mondo cattolico per via del moderno che vi è entrato e che spinge il cattolico a definirsi sul piano sociale come critico del reale e non come testimone della fede. Il credente che non vive la vita dello Spirito pensa e vive di fatto come un non credente. Nessuna finalità governa la sua vita» (p. 32).
Questo non è soltanto modernismo, eresia vecchia come il mondo, è qualcosa di più, si tratta della disgregazione della struttura ontologica della fede, della realtà della fede come dimensione integrale dell’esistenza orientata a Cristo. Le ideologie che, di volta in volta, prendono piede non sono altro che la forma del rovesciamento assiale di questa realtà. La fenomenologia è articolata: dall’ideologia neocon del furore bushiano all’ateismo cosiddetto “devoto”, per finire alla miscela tossica “woke”, con il portato di ideologia gender. Come ha insegnato Hanna Arendt, «un’ideologia è letteralmente quello che il suo nome sta a indicare: è la logica di un’idea. La sua materia è la storia, a cui l’ “idea” è applicata; il risultato di tale applicazione non è un complesso di affermazioni su qualcosa che è, bensì lo svolgimento di un processo che muta di continuo. L’ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa “legge” dell’esposizione logica della sua “idea”» (Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano, 1996, p. 642).
Dagli anni Novanta in poi il mondo storico,definito storicamente “vincente”, si è autocelebrato inscrivendo il suo destino prima nella “fine della storia” (Fukuyama) e poi in ogni trasformazione antropologica, culturale e sociale del sistema-mondo globalizzato elevato ad Eterno senza tempo. Quindi, oggi ci troviamo di fronte ad un tempo senza storia e memoria e ad una realtà sociale totalmente dettata dal controllo della violenza tecnocratica, modello Gestell heideggeriano, il dispositivo impersonale che permea l’intera sfera personale e comunitaria. Neanche il mercato, antitetico allo Stato, in realtà, è più il centro, com’era scritto nel vecchio copione liberista, ancora in qualche modo dialettico, e quindi capace di riconoscere la parziale autonomia dei corpi intermedi. Oggi tutto è sussunto dal collettivo storico-ideologico misticheggiante e gnostico che si dice in molti modi, ma si realizza sempre come emergenzialismo e dominio. Tant’è vero che la stessa idea di società senza più transazioni in stato di emergenza e di rovesciamenti dell’ordine comunitario è impossibile da concepire: l’iper-politica della finanza è il nichilismo compiuto su base strutturale.
Da sempre “per il cristiano il problema è quello di recuperare, oltre il moderno, il senso per cui esiste un fine immanente e collettivo della vita”, osserva Baget. Il fine è il Regno di Dio “a cui tutto tende, tutta la natura tende” (p. 33).
L’immanentismo postmoderno intende far fuori la tradizione cristiana, quella specifica tradizione, infischiandosene dei padri più o meno nobili di ieri, fra i quali Benedetto Croce, con il suo “non possiamo non dirci cristiani”, e, nello stesso tempo, persegue il progetto di inventare una tradizione e rendere tutto ciò che è “moderno” - secondo l’etimo: “attuale” - l’eterno intrascendibile. Il Moderno ha sempre alimentato questa tensione ideologico-progettuale. Hegel è la quintessenza quasi sacrale di questa concezione. Hegel è quel filosofo che miscela efficacemente la filosofia come “il proprio tempo appreso con il pensiero” e anche come quella conoscenza che “ha i suoi oggetti in comune con la religione, perché oggetto di entrambe è la verità, nel senso altissimo della parola, in quanto cioè Dio e Dio solo è la verità” (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Introduzione, Laterza, Roma-Bari, 1978, p. 3)
La teologia cattolica ha incorporato questi modelli filosofici fin daglòi anni Sessanta, prima con Rahner e poi con la teologia della liberazione, nata nella università tedesche. Un teologo del calibro di padre Cornelio Fabro ha scritto testi critici fondamentali su questi “eroici furori” dei teologi dell’“aggiornamento” postconciliare.
Oggi l’ultimo sviluppo di questa deriva è la teologia del popolo immanentizzata nel presente di Bergoglio. Con questa teologia e con la deriva neoereticale conseguente, la Chiesa cessa, da un lato, di avere un rapporto con il principio di realtà, che viene da Dio, e, dall’altro, di perseguire quel “fine collettivo della vita”, che è “l’attuazione del Regno di Dio, a cui tutto tende”.
Il paradosso è che, mentre la cultura postmoderna non ha più parole di verità da offrire al mondo, e si sfilaccia nel rigurgitare, senza il minimo cenno di imbarazzo, addirittura l’illuminismo e il mito del progresso (vedi autori come Steven Pinker e Yuval Harari, non a caso due pilastri culturali di Obama, il presidente che ha messo sotto controllo poliziesco i professori di religione nelle scuole pubbliche), pure legittimazioni del potere che detta le regole del pensare, del vivere e perfino del morire, la Chiesa, nata sulla Verità del Dio Incarnato e Redentore, anziché indicare al mondo la via della salvezza e del retto pensiero, si inginocchia di fronte al mondo disperato, chiedendogli il permesso di esistere.
Ancora una volta Baget ha colto nel segno:
«Nel nichilismo neocristiano vi è una spiritualità che non è quella di Cristo, ma quella dell’angelo caduto, il cui senso è appunto quello di negare l’opera del Dio Creatore e Provvidente” (p. 34).
Più di vent’anni fa era già tutto chiaro, oggi è tutto scritto, con tanto di bolla pontificia.
Raffaele Iannuzzi – Agenzia Stampa Italia
Fonte foto: Gustav-Adolf Schultze (d. 1897), Public domain, via Wikimedia Commons