(ASI) Nel numero 9 del 02 marzo 2001 Rigore illustra ai propri lettori, sempre assetati di verità, gli scopi della Gea, nuova società sorta per modificare il calciomercato e non solo. Il periodico diretto da Gianfranco Teotino lo fa con la solita chiarezza di sempre e, cosa ancor più preziosa, senza peli sulla lingua. Ecco come Rigore esordisce a proposito della Gea.

Si chiama Gea. Una sigla piccola piccola he nasconde affari e giri di soldi molto grandi. È l’agenzia dei “figli di”. Figli di Cesare Geronzi, presidente della Banca di Roma, rubinetto fondamentale di molte società di serie A, Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi. Si chiamano Chiara, Andrea e Francesca, nomi comuni ma cognomi importanti. La Gea si occupa di gestire l’immagine dei giocatori e di trovare sponsor tecnici e commerciali a loro e alle società: in una parola, merchandising. Ma non solo. In pratica, anche se non ufficialmente, ha iniziato a gestire (attraverso parenti o intermediari) anche le procure sportive. Nella scuderia Gea sono già finiti diversi giocatori di Lazio e Parma: tra i big, Nesta e Cannavaro, che hanno lasciato i rispettivi procuratori Canovi e Fedele. Dov’è il problema? A guardare bene ce n’è più di uno. Innanzitutto il palese conflitto di interessi. Siamo quasi all’assurdo: società di calcio che gestiscono propri e altrui giocatori decidendone futuro, ingaggio, destinazione. La domanda maliziosa sorge spontanea: possono essere totalmente sereni quei giocatori che si trovano ad affrontare la domenica la squadra di chi li gestisce? Una naturale fonte di dubbi , ombre e polemiche di cui il nostro calcio sembra non avere assolutamente bisogno. Nel totale disinteresse di Federcalcio e commissario Petrucci. C’è poi la questione economica. Dietro la gestione dei giocatori si nascondono tante possibilità di guadagno. Facciamo qualche esempio: un procuratore “normale” ha una percentuale sul contratto sportivo e di immagine di giocatore diciamo del 5%. Ma se l’affare è fatto in casa tra società e agenzia-procuratore le cifre di ingaggio per il giocatore possono gonfiarsi di pari passo con la percentuale da destinare all’agenzia che può arrivare, sempre come esempio, al 20%. Facciamo due conti: se il contratto per i diritti di immagine di x è di 60 miliardi per y anni, 12 finiscono alla GeaUn modo per far uscire i soldi dalla porta (della società) e farli rientrare dalla finestra (di casa propria). Si dice poi che Lazio e Parma dal prossimo anno (2001/02 ndr) potrebbero figurare una percentuale fissa molto consistente da corrispondere alla Gea per i contratti di immagine e sponsor che riuscirà a procurare. E non sarà un’impresa: basterà che le due società facciano sapere che chi vuole trattare le sponsorizzazioni con loro deve passare attraverso la Gea. Non è poi difficile immaginare il guadagno che può ottenere l’agenzia in caso di cessione di qualche big da essa gestito.

Di certo sono preoccupati tutti i procuratori che, non avendo alle spalle banche e società di calcio, temono di perdere i propri assistiti e mai come adesso rimpiangono di non aver costruito una associazione forte e credibile in grado di proteggerli e di contare anche in Federazione. Negli anni d’oro – la bacchettata di Rigore – ognuno ha pensato solo a sé e ad arricchirsi il più possibile. Ma adesso lo scenario sta cambiando grazie o per colpa di nuovi colossi che non sempre curanti di interessi tecnici e sportivi, uniscono alla finanza la politica, e contro i quali è quasi impossibile combattere. A meno che non intervenga l’Antitrust ravvisando il non rispetto della norma sulla libera concorrenza.

C’è poi il tema delle plusvalenze che non si nascondono soltanto dietro operazioni poco reclamizzate. Rigore con la solita precisione puntualizza la situazione. Basta guardare l’acquisto di Crespo dalla Lazio: 110 miliardi. Tutti veri? Vediamo: i 110 miliardi sono stati divisi in 45 (cessione di Almeyda), più 40 (cessione di Sergio Conceicão), più 25 (acquisto di Crespo). Se ne evince che, per la stagione in corso (2000/01 ndr), la Lazio avrà nel bilancio una plusvalenza altissima rispetto al valore d’acquisto originario dei due giocatori. L’esempio della Lazio è estremamente importante, perché si tratta, come la Roma, di società per azioni, quotate in borsa. Finché si tratta di scambi tra Moratti e Berlusconi, o Tanzi e Moggi, le plusvalenze si possono discutere, sì, ma da un punto di vista etico. Tutto cambia se la società ha degli azionisti, che in questo modo vengono palesemente beffati. Il bilancio che viene mostrato loro è di panna montata: gran parte dei miliardi derivanti dalle cessioni sono teorici, immaginari, metafisici. Gli azionisti avrebbero persino il diritto di rivalersi. 

Qualche anno dopo verrà fuori Calciopoli, altro scandalo a cui dedicheremo uno speciale. La prossima inchiesta di Rigore riguarderà il doping e, nello specifico, il nandrolone.

Raffaele Garinella – Agenzia Stampa Italia

 

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