Si ricorda quando, appunto il 12 giugno 1945, le truppe del IX Korpus dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo (EPJ, già istigatore, tra l’altro, dell’eccidio di partigiani bianchi compiuto a febbraio precedente, alle malghe di Porzus, dai resistenti filotitini: eccidio in cui morì anche Guido Pasolini, fratello piu' giovane di Pier Paolo), che il 1° maggio avevano occupato Trieste proclamandone l’annessione alla Jugoslavia comunista, dovettero ritirarsi in seguito agli accordi di Belgrado del 9 giugno. Sottoscritti, da parte degli Alleati, dal Generale britannico Alexander, comandante supremo delle forze alleate nel Mediterraneo ( già trionfatore contro Rommel, in Nordafrica, nel ’42- ’43).
La motivazione della municipalità triestina per la commemorazione ricorda che la città, “Sottoposta a durissima occupazione straniera subiva con fierezza il martirio delle stragi e delle foibe non rinunciando a manifestare attivamente il suo attaccamento alla Patria…” . Questa ricorrenza del 12 giugno è stata celebrata per la prima volta nel 1990, per iniziativa dell’Unione degli Istriani: dal 2000 in poi, la cerimonia si è sempre svolta con la presenza del Comune di Trieste, della Provincia e della Regione Friuli Venezia Giulia. Con la delibera del 26 maggio, si prevede l’organizzazione, ogni anno, di un programma di commemorazioni cittadine, , insieme alla commemorazione ufficiale da tenersi nella Sala del Consiglio Comunale.
“ Questa Giornata della Liberazione dall’occupazione jugoslava del 12 giugno”, . sottilinea Marino Micich, Direttore, a Roma, dell’ “Archivio Museo Storico di Fiume”, “aggiunge nuova linfa al dibattito politico e storico-culturale sempre vivo in Venezia Giulia e negli ambienti della diaspora giuliano-dalmata, nonché tra la minoranza slovena locale. La sola Trieste, alla fine della Seconda guerra mondiale accolse stabilmente non meno di 70.000 profughi istriani, fiumani e dalmati in fuga dalle terre sottoposte all’occupazione jugoslava. Ai primi di maggio del 1945, precisiamo, con l’arrivo delle forze partigiane jugoslave non ci fu vera liberazione, né furono poste le basi per l’avvento di un regime democratico e pluripartitico a Zara, a Fiume, nell’ Istria o a Trieste. A Zara ben 372 persone furono fatte sparire, secondo una ricerca di Franco Luxardo, presidente dell’Associazione Dalmati Italiani nel Mondo- -Libero Comune di Zara in Esilio.A Fiume Giovanni Stelli, nella sua “Storia di Fiume” (Edizioni Biblioteca dell’ Immagine, 2017), parla di oltre 600 italiani appartenenti a ogni estrazione sociale, politica e confessionale, che furono uccisi e scomparirono per mano dell’OZNA ( sostanzialmente la polizia politica di Tito, N.d.R.)”. Sempre a Fiume, il 3 maggio 1945, fu prelevato dall' OZNA, e poi fucilato a Castua, il senatore Riccardo Gigante, già sindaco fiumano durante l'impresa di D'Annunzio, poi governatore locale (contrario,peraltro, all' italianizzazione forzata della popolazione slava) nel 1943: i cui resti, rittovati nel 2018 in una fossa comune, son stati poi solennemente tumulati, a febbraio scorso, al Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera.
“Al merito storico di aver contribuito alla sconfitta del nazismo e del fascismo in quell’area di frontiera”, prosegue Micich, "il Movimento popolare jugoslavo, con grave demerito cercò di imporreanche a Trieste e a Gorizia una dittatura comunista, con la forza e l’esercizio di violenze di ogni tipo, a danno delle libertà democratiche e dell’italianità presente in quel territorio. L’elemento italiano veniva nel suo complesso arbitrariamente identificato col fascismo a scopi strumentali, e pertanto sottoposto a ogni privazione possibile, riguardante la vita stessa delle persone. I comunisti sloveni e croati, trovarono sostegno ideale e armato per le loro aspirazioni territoriali sull’intera Venezia Giulia nel PCI e nel suo massimo leader, Palmiro Togliatti.
Quando i comunisti italiani, dopo aver inneggiato sulle pagine dell’ “Unità” del 1° maggio 1945 alle truppe liberatrici di Tito, ad un certo punto si mostrarono titubanti nel sostenere l’appartenenza nazionale della città, ci fu il Partito comunista della Regione Giulia, guidato da elementi sloveni e italiani, a difendere le tesi annessioniste jugoslave e a confondere la già difficile situazione. Le ambiguità politiche del PCI (che solo nel 2005, 60 anni dopo la fine della guerra, son state riconosciute, storicamente e politicamente, dall’allora segretario nazionale dei DS, Piero Fassino, N.d.R.), non aiutarono certo gli italiani democratici di Trieste, che si riconoscevano nel Comitato Nazionale di Liberazione Giuliano o avevano militato nei Corpi Volontari per la Libertà. Sin dal 1° maggio 1945, così, alcune migliaia di triestini e goriziani furono soppressi nelle foibe dei dintorni o deportati nei lager all’interno della Slovenia (tra cui il famigerato campo di Borovnica)”.
Il XIII Corpo Alleato denunciò al Comando Supremo del Mediterraneo, retto appunto dal Gen. Alexander, che erano state deportate dagli jugoslavi, dal 1 maggio all’ 11 giugno, almeno 1.500 persone, e circa 3.000 soppresse. Nonostante l’instaurazione del Governo Militare Alleato e della linea Morgan, comunque, le attività dell’OZNA a Trieste e Gorizia non cessarono: almeno sino al dicembre 1945, infatti, la famigerata organizzazione poliziesca, sorta di “Gestapo rossa”, mantenne tranquillamente una sede proprio a Trieste, in via Carducci, 6, nel palazzo dell’INPS, col beneplacito degli Alleati. Nel 1954, con la firma del Memorandum di Londra , finalmente Trieste sarebbe tornata italiana: ma per gli italiani di Zara, Fiume, Pola e tutta l’Istria, rimaneva l’unica, drammatica prospettiva dell’esodo senza ritorno, iniziato già nel ’45 e destinato a durare sino a metà anni ’50.