(ASI) In definitiva, si può ritenere oramai assodato il principio per cui la tutela risarcitoria si estende non più soltanto alla tradizionale societas stabilizzata con vincolo matrimoniale e discendenza legittima, ma anche ai cosiddetti “nuovi parenti”, cioè tutti quei soggetti i quali conducano oppure abbiano condiviso una vita in comune con la vittima principale, equiparabile alle relazioni, innanzitutto affettive, intercorrenti tra i componenti della famiglia legale.
Si pensi per esempio al caso del figlio della convivente more uxorio, che abbia vissuto stabilmente con la vittima e che, divenuto adulto, abbia poi formato una propria famiglia, o ancora ai figli nati fuori dal matrimonio.
In merito va detto che la legge n. 219 del 2010 ha sancito il definitivo superamento di ogni discriminazione personale e /o patrimoniale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio rispetto a quelli nati in costanza di matrimonio, introducendo un unico status di figlio in adempimento ai dettati costituzionali (artt. 3 e 30 della Cost) e delle convenzioni internazionali.
La suddetta legge, fra l’altro, ha previsto l’estensione della parentela nel caso di filiazione avvenuta fuori dal matrimonio, come pure laddove il figlio sia adottivo.
Nella giurisprudenza si è quindi progressivamente affermato il principio secondo cui: “anche il convivente non legato da vincoli parentali può essere titolare del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, e ciò a prescindere del fatto che si tratti di convivenza “more uxorio” o “di convivenza determinata da un diverso rapporto”, purché si dimostri una comunanza di vita e di affetti”.
Ciò rilevato, deve pure osservarsi come la giurisprudenza ultima abbia sancito che, una volta dimostrata una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e mutua assistenza morale e materiale, deve riconoscersi la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art 2059 c.c., anche a favore del convivente more uxorio di egual sesso, non potendosi condizionare la risarcibilità del pregiudizio morale, connesso alla sofferenza determinata dalla privazione della persona con cui si condivide la vita e si aveva una comunanza di intenti e di progetti, ad un determinato status oppure ad un particolare sesso: “ ciascuna unione effettiva stabile e duratura crea una condizione di vita in cui l’individuo sceglie di crescere come persona, sicché la sua interruzione provocata da un fatto illecito provoca una sofferenza pari a quella che si verificherebbe in una coppia formata da persone di sesso diverso”.
L’estensione della tutela risarcitoria alle coppie omosessuali, come tutte le altre aperture del sistema risarcitorio sopra dedotte, dimostrano come, in effetti, il fondamento della tutela risarcitoria della perdita del rapporto parentale si sia fondamentalmente incentrato sulla protezione dei sentimenti di affetto tra vittima principale e vittima secondaria.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia