(ASI) «In questi anni ciò che più mi ha aiutato, oltre alla mia fede in Dio, è stato l’amore di quanti mi sono stati vicino. Ecco perché chiedo a tutti di non essere indifferenti di fronte alle donne che subiscono violenza in nome della fede. Il fatto che il mondo sappia e che mostri loro affetto è essenziale». Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre suor Meena Barwa, religiosa dell'ordine delle Servitrici, violentata durante i pogrom anticristiani avvenuti in Orissa, India.
Era il 25 agosto 2008 quando una folla di 40 uomini indù armati di bastone preleva suor Meena, che all’epoca lavorava nel Centro pastorale Divyajyoti a K Nuagaon, da una casa in cui si era nascosta dopo l’insorgere delle violenze. Iniziano a picchiarla assieme a padre Thomas Chellan, un sacerdote che operava nello stesso centro. Poi la violenza. «Tre uomini mi hanno afferrato, mi hanno strappato i vestiti e puntato un coltello alla gola, mentre uno di loro mi violentava». Tenta di fuggire quando un altro uomo l’afferra e prova a violentarla. Lei si nasconde e la folla sopraggiunge di nuovo. La legano a padre Chellan con l’intento di bruciarli vivi. Poi si convincono che è meglio umiliarli e costringerli a sfilare nudi per 5 chilometri, continuando a malmenarli. «Tra le cose più dolorose di quel giorno, l’indifferenza dei poliziotti che erano presenti e hanno ignorato le mie grida di aiuto. Non mi hanno protetto da quelli che mi hanno assalito, perché in India la polizia non aiuta gli appartenenti alle minoranze religiose». Dopo la violenza subita, i poliziotti hanno anche cercato di convincere la religiosa a non sporgere denuncia, ma lei non si è arresa ed ha sempre portato avanti la sua battaglia, pur avendo perdonato i suoi aggressori. «Il perdono è un qualcosa di distinto dalla giustizia. E io voglio giustizia, per me e per le altre vittime».
Suor Meena porterà sempre nel cuore la ferita inflittale quel giorno, ma è fermamente convinta che il suo stupro sia stata anche una «benedizione mascherata», perché le ha permesso di comprendere il dolore delle donne che hanno subito violenza e di aiutarle. Anche per questo si è unita alla campagna ACS #MeToo per tutte. «In India lo stupro è un argomento tabù ed io tuttora non posso dire apertamente di essere stata violentata. Siamo costrette a tenercelo dentro per tutta la vita, il che equivale a nascondere noi stesse e la nostra identità. Le vittime si sentono umiliate e messe da parte dalla società, mentre hanno bisogno del nostro aiuto a livello fisico, psicologico e sociale. Mettiamo fine all’indifferenza! Aiutiamo le vittime a ricominciare a vivere!».