(ASI) Intorno al finire degli anni ’90 la giurisprudenza italiana inziò ad applicare un istituto di origine germanica per la soluzione di casi pratici in àmbito di responsabilità medica. La difficoltà che andava superata era quella della prova. Il danneggiato, che imputava il suo danno ad errori medici, doveva dimostrare compiutamente dove i sanitari avessero sbagliato. Dato che questo incombente assumeva spesso le caratteristiche della probatio diabolica, in quanto pressoché impossibile, i giudici italiani iniziarono a riflettere e, grazie al contributo di Carlo Castronovo, scoprirono l’applicabilità ai casi in esame del contratto a favore di terzo e del contratto con effetti protettivi a favore di terzo. In realtà, il contratto a favore di terzo era già noto agli interpreti del Bel paese, in quanto previsto dall’art. 1411 del codice civile. La novità consisteva nell’applicarlo ai rapporti di spedalità. Il ragionamento fu il seguente. È vero che il rapporto sanitario intercorre tra medico/struttura e paziente, ma è pur vero che oltre alla salute del ricoverato il sanitario deve tutelare i diritti di alcuni terzi, legati da particolari rapporti con il malato. Ma arrivare a questo punto non fu facile e, tuttora, permangono gravi incertezze su chi debba considerarsi terzo e beneficiare di questa tutel
Il problema, difficilmente risolvibile, riguarda il momento genetico del rapporto sottostante. Alcuni autori, ed una frangia di giurisprudenza, ritengono che i terzi debbano essere identificabili già dalla natura e dalle caratteristiche del “contratto”. Pensano, in sostanza, che se un familiare abbia diritto ad un risarcimento, la cosa debba emergere dal tipo di contatto richiesto tra medico e paziente. Un semplice esempio potrà forse chiarire meglio. È ormai pacifico riconoscere il ristoro al padre del bambino malformato, nel caso in cui i medici non abbiano diagnosticato il problema in fase prenatale e, pertanto, la madre non sia stata messa in grado di interrompere la gravidanza. A ben vedere solo la madre avrebbe potuto decidere di abortire. Perché concedere anche al padre la possibilità di essere risarcito? La questione viene risolta con il contratto con effetti protettivi a favore di terzi. Il padre del nascituro, secondo questa giurisprudenza, viene visto come meritevole di tutela perché i sanitari hanno l’obbligo di tutelare non solo il paziente, ma anche quelle persone su cui ricadranno sicuramente le conseguenze del trattamento. L’argomento sembra un po’ forzato ma pregiato per gli Ermellini. A fondamento di tale ermeneutica si cita l’esempio della gestante e si afferma che risulta evidente l’obbligo del ginecologo di curare bene sia la madre che il feto e da qui si deduce la protezione da riservare agli altri familiari, come il padre e, talvolta, fratelli e sorelle.
Comunque, aldilà della fondatezza o meno, rebus sic stantibus oggi ci è possibile fornire un elenco, senz’altro in fieri, dei soggetti ammessi a beneficiare della tutela protettiva nel nostro ordinamento.
In primis troviamo la persona venuta alla luce con delle malformazioni dovute a lesione prenatali imputabili ai sanitari. In questo caso si dovette superare la difficoltà data dalla qualificazione giuridica del feto. La legge italiana subordina l’acquisizione della capacità giuridica all’evento della nascita. Come poteva un medico essere chiamato a rispondere dei danni procurati ad una soggetto senza capacità giuridica e, quindi, ad un non soggetto? La soluzione stava proprio nella tutela del terzo, come nell’esempio posto poc’anzi. Si cura una donna in stato interessante anche per proteggere, curare e custodire un terzo, il nascituro.
In seconda posizione troviamo i familiari della persona nata con malformazioni e/o malformazioni riconducibili a condotte colpose degli operatori sanitari ed i congiunti del nascituro mai nato a causa di una malpractice medica.
A seguire vediamo il coniuge del paziente sottopostosi a sterilizzazione, qualora, successivamente, venga alla luce un figlio, quindi, non desiderato.
Quale categoria conclusiva ci possiamo concentrare sul compagno della gestante in tutti quei casi in cui si verifichino errori nella diagnosi di malformazioni, menomazioni o gravi malattie del feto, che avrebbero portato la coppia a decidere per l’interruzione della gravidanza.
Al solo scopo di lanciare una provocazione, saremmo tentati di inserire nel novero delle categorie indennizzabili i bambini che dovranno vivere tutta una vita con genitori che avrebbero preferito vederli morti piuttosto che malati al loro fianco.
Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia
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