Sigonella - Trent’anni dopo Prima parte – Gli eventi: la sfida agli Usa e il trionfo della sovranità nazionale

(ASI) Correva l’anno 1985. Nell’allora Urss, la morte del segretario del partito comunista sovietico Chernienko, spianava la strada al giovane politico Michail Gorbacev, l’uomo che 5 anni dopo porrà fine alla guerra fredda. Negli Usa il presidente Ronald Reagan

stava facendo conoscere al paese un periodo di prosperità economica e di benessere uniti a una riscoperta dei valori tradizionali americani sotto però una nuova luce di innovazione e di slancio sociali. Il 1985 è anche l’anno degli accordi di Schengen sulla libera circolazione in Europa che getteranno le basi per la nascita dell’Unione Europea. In Italia siamo nell’epoca del cosiddetto Pentapartito, ossia la coalizione di cinque partiti che formavano i governi del tempo. Il leader indiscusso del paese e della sua politica è il premier socialista Bettino Craxi. Sarà proprio quest’ultimo a scrivere una delle pagine più tese ed emozionanti della politica estera italiana opponendosi al gigante americano e dando all’Italia un peso determinante sull’andamento di uno dei maggiori momenti di crisi nello scacchiere mediterraneo.

L’antefatto.  Martedì primo ottobre 1985 l’aviazione israeliana (IAF) esegue un discusso raid aereo con l’obbiettivo di distruggere la sede dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che aveva spostato il proprio quartier generale da Beirut in Libano, a Tunisi in seguito allo scoppio della prima guerra del Libano tre anni prima. La rischiosa operazione, denominata “Gamba di Legno”, condotta da 7 F-15 israeliani, con l’appoggio di una aereo cisterna boeing 707 e di una nave da guerra al largo di Malta, fu coronata dal successo. Il quartier generale dell’OLP a Tunisi fu completamente distrutto anche se il suo leader, Yasser Arafat, si salvò. L’azione, eseguita senza informare preventivamente ne l’Onu ne l’alleato americano, venne presentata come una ritorsione per l’uccisione di tre civili Israeliani a bordo di uno yacht avvenuta il 5 settembre al largo di Cipro.

In seguito a questi eventi  una frangia minoritaria dell’OLP, denominata FLP (Fronte per la Liberazione della Palestina), decise un’azione di rappresaglia contro Israele che avrebbe dovuto avere luogo nel porto israeliano di Ashdod. Per raggiungere l’obbiettivo della missione, il commando composto da quattro terroristi palestinesi, si imbarcò il 7 ottobre con passaporti falsi sulla nave da crociera italiana Achille Lauro mentre questa era attraccata in Egitto pronta a partire per il porto israeliano. In seguito ad alcuni errori di valutazione da parte dei terroristi, il commando fu sorpreso da alcuni membri dell’equipaggio mentre era intento a preparare le armi che aveva fatto imbarcare clandestinamente. La nave lanciò l’Sos e quindi la missione del commando palestinesi fallì. I terroristi sequestrarono allora la nave da crociera e chiesero in cambio delle vite dei passeggeri a bordo la liberazione di 50 dei loro compagni detenuti in Israele. Da quel che rimaneva del quartier generale dell’OLP Arafat dichiarò la propria estraneità e quella dell’OLP riguardo all’intera operazione e rassicurò il governo italiano informando personalmente il premier Craxi e il ministro Giulio Andreotti, che avrebbe inviato due sue fidati consiglieri come mediatori a sostegno delle autorità egiziane. Ciò che al tempo nessuno sapeva era che uno dei due, Abu Abbas, era il capo dell’FLP, nonché l’ideatore dell’azione del commando. Le trattative si susseguirono frenetiche nei due giorni successivi finché il 9 ottobre, grazie alla mediazione dello stesso Abbas, del governo egiziano e di quello siriano, il commando palestinese acconsentì a liberare la nave in cambio di un salva condotto egiziano che gli avrebbe permesso di lasciare il paese e di godere dell’immunità diplomatica in quanto “ospiti del governo egiziano”.  Per lasciare lo il territorio egiziano le autorità locali misero a disposizione dei terroristi un aereo di linea confiscato e riclassificato come aereo di stato. Fu però solo dopo che l’aereo di linea decollò dal suolo egiziano che si sparse la notizia dell’uccisione di uno degli ostaggi; il paraplegico Leon Klinghoffer, cittadino americano di origine ebraica.

La Crisi di Sigonella. A seguito di questa notizia gli Stati Uniti decisero di intervenire unilateralmente con lo scopo di prendere in consegna il commando palestinese, o di ucciderli qualora avessero opposto resistenza. Due caccia F-14 Tomcat dell’US Navy decollarono dalla portaerei Uss Saratoga e intercettarono l’aereo egiziano nel pomeriggio del 10 ottobre sopra i cieli di Malta. L’ordine impartito era quello di seguire i due caccia statunitensi fino alla base NATO di Sigonella, in Sicilia. Tutta l’operazione venne svolta senza ne consultare ne informare le autorità italiane. Il presidente Craxi ne venne a conoscenza solo nella serata del 10 ottobre  in seguito ad un secco comunicato statunitense che sommariamente informava le  autorità italiane della decisione presa dalla Casa Bianca. Craxi fece presente che nel caso in cui l’aereo egiziano avesse toccato il suolo italiano sarebbe stato soggetto alla legislazione nazionale. Probabilmente, da parte statunitense il comunicato del premier italiano fu giudicato più come una presa di posizione ideologica che non come l’enunciazione delle vere intenzioni italiane. Fatto sta che per una serie di clamorose mancanze e ritardi nelle comunicazioni, alla mezzanotte del giorno 11 ottobre, i controllori di volo italiani a Sigonella, non avevano ancora ricevuto chiare disposizioni in merito all’atterraggio dell’aereo egiziano che ormai risultava essere anche a corto di carburante. Sotto la propria responsabilità iniziarono a guidare la discesa dell’aereo egiziano e dei due caccia statunitensi. Più o meno nello stesso momento il premier Craxi telefonò al comandante del servizio segreto militare (SISMI), ammiraglio Fulvio Martini, ordinando gli di predisporre immediatamente le operazioni per la presa in consegna dell’aereo egiziano e di quanto a bordo, di impedire qualsiasi tentativo di fuga o di forzatura del blocco, e di recarsi immediatamente sul posto. Alle 00:15 dell’11 ottobre i controllori di volo italiani fecero atterrare i tre aerei e abilmente separarono i due caccia americani dall’aereo egiziano che fu fatto parcheggiare nel settore italiano dell’aeroporto. Appena l’aereo egiziano ebbe spento i motori fu immediatamente circondato da 20 agenti del VAM (Vigilanza Aereonautica Militare) e 30 carabinieri, mentre sulla pista di atterraggio furono disposti blocchi con mezzi antincendio chiusi a chiave e piantonati da picchetti di carabinieri. Pochi minuti dopo due aerei militari da trasporto americani C-141 Starlifter, recanti la livrea nera delle forze speciali, atterrarono senza permesso e a luci spente. Appena i due aerei americani si fermarono sbarcò un distaccamento di 50 navy seal della Delta Force statunitense che immediatamente circondò il cordone italiano e l’aereo egiziano intimando l’immediata consegna dei passeggeri sotto la minaccia delle armi. Il premier Craxi e l’ammiraglio Martini avevano previsto un tentativo da parte americana di sottrarre i passeggeri dell’aereo con l’uso della forza, perciò il comandante del SISMI mobilitò una forza di 70 carabinieri, 10 blindati dell’arma e diverse volanti, che circondarono i soldati americani e i loro aerei  con le armi in pugno e pronti a reagire in caso gli statunitensi avessero intrapreso azioni ostili. La situazione di stallo restò tale dalle ore 01:00 alle 04:00. In questo lasso di tempo si susseguirono frenetiche comunicazioni tra le autorità americane e quelle italiane. Gli americani alternavano minacce di ritorsioni economico – militari a tiepide apertura senza garanzie, mentre da parte italiana veniva risposto che in ogni caso avrebbe prevalso il diritto nazionale. Alla fine il presidente Reagan in persona volle parlare con il premier Craxi. Di fronte al furente presidente americano, Craxi rifiutò di fare qualsiasi concessione che andasse contro al diritto e agli interessi italiani. La resistenza di Craxi, pacata ma ferma, riuscì alla fine a far desistere il presidente Usa, che alle 04:00 inviò l’ordine di ritirata ai Seal di Sigonella.

La mattina del giorno 11 i quattro terroristi palestinesi furono presi in consegna dalla procura di Siracusa, mentre Abu Abbas chiese che l’aereo venisse rifornito onde poter raggiungere l’aeroporto di Ciampino, a Roma, in ossequio all’accordo stipulato tra governo italiano e governo egiziano al fine di non violare lo status di “ospite del governo egiziano” di cui godeva Abbas. In serata l’aereo decollò alla volta della capitale con la scorta di due caccia italiani F-104S Starfighter che decollarono da Gioia del Colle in Puglia. L’Ammiraglio Martini aveva però compreso che gli americani non avrebbero rinunciato a sfruttare una nuova occasione di catturare il capo del commando terrorista. Perciò Martini, forte dell’autorizzazione esplicita da parte del premier Craxi ad “usare tutti i mezzi necessari per garantire il rispetto del diritto nazionale”, fece decollare altri due F-104S dalla Calabria che seguirono la formazione con il ruolo di scorta a distanza, e informò tutti i piloti degli ordini ricevuti. Gli americani non delusero le aspettative del comandante del SISMI. Poco dopo il decollo dell’aereo egiziano da Sigonella, uno dei due F-14 che lo avevano scortato alla base siciliana si levò in volo e si mise all’inseguimento della formazione italiana, mentre nel Mar Tirreno un altro F-14 decollò da una portaerei americana con rotta d’intercettazione. Appena il primo Tomcat raggiunse la formazione italo-egiziana e tentò di romperla per prelevare l’aereo egiziano, fu raggiunto alle spalle dai due Starfighter che intimarono all’apparecchio americano di cessare l’inseguimento e allontanarsi altrimenti sarebbe stato considerato aereo ostile ed i caccia italiani avrebbero fatto ricorso all’uso della forza. L F-14 si allontanò e il volo proseguì fino all’aeroporto di Ciampino che venne raggiunto poco prima di mezzanotte. Poco dopo, il secondo F-14 che non aveva raggiunto la formazione italo-egiziana in tempo utile per l’intercettazione, e si era quindi portato sotto la quota di rilevamento dei radar italiani, segnalò un’avaria e atterrò a Ciampino posizionandosi di fronte al velivolo egiziano onde impedirne l’eventuale decollo. Il presidente Craxi e l’ammiraglio Martini ancora una volta non tentennarono di fronte all’ardito tentativo statunitense. Pertanto venne comunicato al caccia americano che gli venivano concesse 2 ore di tempo per sgombrare la pista altrimenti sarebbe stato rimosso con la forza da un bulldozer scortato da mezzi blindati dell’esercito. Poco dopo il caccia ricevette l’ordine di rientro da parte del suo comando: la crisi di Sigonella era dunque giunta alla sua conclusione.

In conseguenza della condotta italiana, l’Egitto, che fino a quel momento aveva negato il permesso di partenza all’Achille Lauro, diede finalmente l’assenso al rientro in Italia della nave da crociera, mentre Abu Abbas poté lasciare il paese a bordo di un aereo di linea jugoslavo diretto a Belgrado in quanto non sussistevano ancora prove certe del suo coinvolgimento nel sequestro dell’Achille Lauro. Nonostante le proteste americane, e le prove che furono presentate nei mesi successivi circa la colpevolezza di Abbas nell’organizzazione e pianificazione dell’azione terroristica, il presidente del consiglio Bettino Craxi, riuscì a far prevalere il diritto italiano ribadendo che al momento della permanenza italiana di Abbas sul territorio italiano non sussistevano della sua colpevolezza. Ribadì inoltre che, data l’impostazione garantista del diritto nazionale, non era nemmeno possibile trattenerlo ulteriormente visto che Abbas godeva di immunità diplomatica. Le conseguenze furono catastrofiche per il governo Craxi cui venne a  mancare l’appoggio  di tutti i ministri del partito repubblicano da sempre su posizioni filo-americane. Ciò portò alla crisi di governo che si risolse con il voto di fiducia del 6 novembre 1985 in seguito al contestato discorso in cui Craxi paragonò Arafat a Giuseppe Mazzini. Poco dopo anche i rapporti tra Stati Uniti e Italia tornarono distesi in seguito alla lettera di Reagan recante il famoso “Dear Bettino” con il quale il presidente americano invitava Craxi a fargli visita in America. 

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

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