Sigonella – Trent’anni dopo. Seconda Parte – L’Eredità: l’Italia non più italiana.

(ASI) Sono passati trent’anni dalla notte di Sigonella. Quella notte dell’11 ottobre 1985 in cui l’Italia, allora quinta potenza mondiale, nel pieno della guerra fredda, rifiutò all’alleato americano, leader del “blocco” cui il paese apparteneva,  il “diritto” di unilateralità.

In questo breve, ma sconfinato lasso di tempo, molto è cambiato, ma al tempo stesso molto è rimasto uguale.

Era un’Italia diversa, anche se affine. Certi mali, endemici alla nazione, come il clientelarismo, il familismo, e il giustizialismo erano già ben radicati nel paese. Eppure vi era qualcosa di diverso, almeno all’esterno.  La politica era fatta da uomini che avevano vissuto l’ultimo conflitto mondiale in gioventù e che poi avevano assistito alla lenta opera di ricostruzione e rilancio della nazione. Questi uomini avevano un diverso rapporto con la politica e le istituzioni che rappresentavano. Essi credevano in concetti che oggi sembrano persi, inghiottiti dallo scorrere del tempo e da una quotidianità che segue regole nichiliste non  scritte ma che rendono il paese schiavo dell’ignavia, dell’interesse e della paura.

L’Italia di oggi è un paese per lo più sconfitto. Privato dei suoi principali diritti di sovranità ed autodeterminazione. Guidato da una classe politica in larga parte esistente per la pura auto perpetrazione di se stessa. Giullari, mimi e figure sinistre si sono alternati negli ultimi anni alla guida della nazione. Tutti comunque accomunati dalla stessa frase “ce lo chiede….” a cui poi viene aggiunto il “completamento” di volta in volta diverso (l’Unione Europea, la Bce, il Fondo Monetario Internazionale, ecc…). Di fatto il paese sembra aver  accettato la propria condizione di eterno “colpevole”, anche se non si sa bene di che cosa, di fronte a chiunque. L’Italia di oggi in politica estera si comporta alla pari di un ragazzino con problemi a relazionarsi con i propri coetanei. Cerca di fare di tutto per compiacerli credendo così di poterseli ingraziare, ma senza rendersi conto che sarà interpellato solo quando il gruppo dei ragazzi più forti avrà bisogno di usarlo. Dopo di che sarà rigettato nell’oblio sociale in cui egli stesso ha chiesto di essere messo all’atto del riconoscimento di essere “sbagliato” rispetto a ciò che gli altri si aspettano da lui.

Non era questa l’Italia di Bettino Craxi. Egli evidentemente  sapeva una cosa fondamentale: per essere rispettati bisogna anzitutto dimostrare di rispettarsi. Nella notte di Sigonella, Craxi, in quanto leader d’Italia, decise di rispettare le leggi italiane che egli rappresentava in patria e all’estero. Con lui un’altra figura di spicco della storia italiana come Giulio Andreotti, con il quale condivideva l’avversione per le ingerenze americane troppo manifeste negli affari interni italiani. Ovviamente non mancarono anche politici già al tempo “allineati” alle richieste degli “alleati” d’Italia. Uno su tutti l’allora ministro della difesa repubblicano Giovanni Spadolini. Costui aveva ricoperto anche la carica di presidente del consiglio dei ministri dal 1981 al 1982, l’unico nella storia del partito repubblicano italiano. La sua carriera fu costellata da episodi di quello che oggi si definirebbe di atlantismo“politically correct”. Ad esempio nel 1982, pur essendo il premier d’Italia, boicottò la visita del leader palestinese Arafat, allora sgradito agli Stati Uniti, in visita nel nostro paese. Nello stesso anno fu costretto letteralmente a “subire” la posizione di equidistanza voluta dai principali partiti di governo, cioè la DC e il Psi,  onde evitare all’Italia di dover scegliere tra schierarsi con il Regno Unito o l’Argentina  durante la guerra delle Falkland. Tale linea politica nacque dalla considerazione che l’Italia avrebbe in ogni caso avuto solo da perdere sia sul piano economico che di prestigio internazionale. Tale linea politica che contraddistinse il decennio fu retrospettivamente definita “terzomondista”. Ampiamente appoggiata da uomini del calibro del premier Craxi, ma anche di Andreotti o Forlani, non era altro che una crisi dell’indirizzo “atlantista” italiano che si era già avuto modo di constatare cinque anni prima di Sigonella, cioè in occasione della strage di Ustica. Al tempo infatti l’Italia permetteva il transito dei Mig libici del colonnello Gheddafi sui cieli italiani che andavano a fare scalo per manutenzione in Jugoslavia mentre una finanziaria libica possedeva una certa percentuale del capitale azionario del gruppo Fiat. Tale condotta era apertamente contraria agli interessi della NATO che giudicava il colonnello Gheddafi  un nemico e pertanto soggetto a restrizioni economiche e politiche. Infatti fu la stessa NATO, e in particolare Stati Uniti e Francia, a venire sospettati di essere coinvolti nell’abbattimento, seppur accidentale, del DC-9 Itavia e pertanto le rispettive rappresentanze militari furono immediatamente  interpellate dalle autorità italiane.

In questo contesto Spadolini, in aperta polemica con la linea politica di Craxi, poco dopo i fatti di Sigonella, ritirò il suo appoggio al governo aprendo la crisi che si risolse il 6 novembre 1985 con il famoso discorso in cui Craxi riottenne la fiducia da parte della maggioranza e gli applausi dell’opposizione comunista. Proprio la sinistra italiana, da sempre all’opposizione e principale motivo dell’esistenza del soggetto politico che passerà alla storia con il nome di Pentapartito, applaudì la scelta del suo indiscusso leader. L’entusiastico sostegno a Craxi fu dato dal fatto che il Pci del tempo aveva una chiara linea politica di distanza dall’alleanza atlantica e più vicina invece ai paesi non allineati e ovviamente al blocco orientale e socialista. Era evidentemente una sinistra assai diversa da quella cui siamo abituati. La sinistra di oggi, quella che spesso Silvio Berlusconi ha definito del “tanto meglio, tanto peggio”, è spesso stata caratterizzati da numerosi episodi in cui i propri esponenti hanno sfruttato la scontentezza degli alleati atlantici ed europei, così come di altre nazioni, nei confronti dell’Italia, come un arma politica da usare per far cadere il proprio avversario invocando il principio secondo cui l’Italia non deve fare “brutte figure” all’estero. Questa necessità di “non fare brutte figure” sarà poi la base del crescente servilismo politicamente corretto che contraddistinguerà la politica italiana nei decenni alla fine degli anni 80 e che avrà il suo apice nelle recenti dottrine dei “compiti a casa” che l’Italia accetterà di svolgere per soddisfare gli interessi dell’U.E. a trazione tedesca e ovviamente degli Stati Uniti. Nel 1985 però l’Italia di Craxi rifiutava qualsiasi evidente ingerenza nella propria politica interna. Consentendo ad Abu Abbas, leader del commando che aveva sequestrato l’Achille Lauro, di lasciare il territorio italiano in quanto non sussistevano ancora prove della sua colpevolezza, di fatto venne affermata la priorità delle esigenze del diritto italiano sugli interessi statunitensi.

Proprio per questo rifiuto di assecondare le “necessità” degli alleati, o come si definirebbero al giorno d’oggi, dei “partners”, in occasione della crisi di Sigonella, l’Italia si trovò a giocare un ruolo chiave in un contesto assai difficile e delicato come quello della politica mediterranea. La vicenda dell’Achille Lauro fu infatti una tentata ritorsione palestinese nei confronti di Israele che solo una settimana prima aveva condotto un’ardita operazione militare contro il quartier generale dell’OLP, all’insaputa e contro gli interessi degli stessi Stati Uniti d’America. Il piano israeliano era infatti stato messo a punto proprio per evitare che la missione venisse scoperta dall’alleato americano prima che fosse giunta a compimento.  Di fatto la maggior parte degli storici sono concordi nell’affermare che l’Italia segui la linea d’azione più equilibrata e logica vite le circostanze in cui si era venuta a trovare. Va infatti ricordato che l’Egitto non avrebbe concesso il via libera all’Achille Lauro se l’aereo su cui viaggiavano Abbas e il suo seguito fosse stato catturato dagli americani mentre si trovava sotto la giurisdizione italiana.

 

Ovviamente un Italia del genere era quanto meno troppo “ingombrante” per i piani futuri degli Stati Uniti e dell’Europa. Nello stesso 1985 venivano infatti sottoscritti i primi accordi di Schengen sulla libera circolabilità, mentre pochi anni dopo si sarebbero poste le basi per la nascita dell’Unione Europea e in particolare del tasso di cambio tra le varie monete e l’euro.  “Casualmente” Bettino Craxi sarà travolto all’inizio del decennio 1990 dall’inchiesta “Mani Pulite”, che impedirà al leader socialista di prendere parte alle cruciali fasi di negoziato cui sovrintesero invece uomini come Letta e Prodi, che poi determinarono l’attuale assetto dell’Unione Europea e il ruolo dell’Italia al suo interno.

Ma l’eredità di Craxi non si concluse con la sua caduta e il suo esilio. Come ricorda Stefania Craxi, figlia del grande statista, dopo di lui ci fu un altro leader che tentò la strada dell’autonomia dell’Italia in politica estera . “Silvio Berlusconi è stato trattato come mio padre” – affermò l’onorevole in una sua intervista al settimanale “Panorama” del 2013, che aggiunse di aver rinvenuto un appunto tra le memorie del defunto padre in cui questi scrisse “l’obbiettivo e uno e uno solamente: la distruzione personale e politica di Silvio Berlusconi”. “Casualmente” anche Silvio Berlusconi sarà perseguitato da vicende giudiziarie che per lo più si risolveranno con la sua assoluzione e infine costretto, per una ancor più “fortuita” coincidenza di fattori economici oggi allo studio dei magistrati della procura di Trani,  a lasciare il potere a un governo, quello di Mario Monti, non eletto dal popolo ma finalmente “gradito” ai poteri forti internazionali. Fautore  di una politica estera che obbiettivamente aveva consentito all’Italia nei primi anni 2000 di giocare un ruolo fondamentale nello scacchiere mediterraneo con gli accordi di Bengasi, così come di fare da mediatore tra l’America del presidente Bush e la Russia di Putin, Berlusconi perseguì anche un’intelligente politica energetica chiaramente in contrasto con gli interessi di nazioni europee come Francia, Gran Bretagna e Germania. La distruzione della sovranità nazionale italiana, e conseguentemente del suo peso in politica estera in seguito al “golpe di velluto” che determinò la caduta del Cavaliere, ebbe come immediate conseguenze la guerra in Libia attaccata quasi unilateralmente da Francia e Gran Bretagna, e la crisi tra occidente e Russia di cui ancora oggi l’Italia paga le conseguenze a causa dell’embargo posto dalla Russia sui prodotti agroalimentari e industriali che Putin a decretato in risposta alle sanzioni economiche volute da Germania e Usa.

A trent’anni dalla crisi di Sigonella, massimo apogeo dell’astro politico di Craxi, ma di cui la celeberrima lettera del presidente Reagan recante l’incipit “Dear Bettino”, ne forse annunciava anche l’inizio della fine, l’Italia ha pagato un prezzo altissimo per aver accettato di anteporre gli interessi altrui di fronte ai propri. L’Italia di oggi di fatto non si può più considerare italiana. Regolarmente le esigenze dei vari “partners” vengono presentate dalla classe politica attualmente al potere come dogmi irrinunciabili e indiscutibili. In una recente intervista Stefania Craxi ha descritto l’attuale Italia come un paese “deriso all’esterno e lurido all’interno”. Il primo a pagare affinché l’Italia di oggi potesse nascere fu proprio il premier Bettino Craxi, cui fu imposto l’esilio dal paese. Un paese, quello che salutava l’addio di Craxi, e con esso la fine dell’indipendenza della politica dalla magistratura, il quale non sembrava ricordarsi che era lo stesso uomo che solo cinque anni prima aveva assicurato il rispetto da parte del potente alleato americano avendo affermato il principio per cui l’Italia era una nazione autonoma e sovrana.

Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia

 

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