Pirelli, la "svolta cinese" per il rilancio aziendale

(ASI) Nella notte tra domenica e lunedì, le mille voci girate nei giorni scorsi sono state definitivamente fugate e i tanti dubbi relativi all'accordo tra Tronchetti Provera e il colosso statale ChemChina (CNRC) sono stati risolti.

In base ai dettagli resi noti dalle parti, la ristrutturazione aziendale dello storico marchio italiano avverrà per mezzo di una complessa operazione finanziaria, appositamente pensata per mantenere la direzione, la produzione e la ricerca nel nostro Paese. Prima di ieri, le quote della società lombarda erano suddivise tra numerosi azionisti, fra i quali anche il gruppo Benetton, Mediobanca e Malacalza. Socio "forte", col 26,2% del pacchetto, era Camfin, un gruppo composto, al 50% ciascuno, dalla cordata italiana guidata da Tronchetti Provera e dal colosso petrolifero russo Rosneft, sceso in campo l'anno scorso.

Con la firma di ieri, l'intera quota detenuta da Camfin viene rilevata da ChemChina che, attraverso il suo veicolo Bidco, lancerà un'OPA totalitaria sul restante pacchetto azionario al prezzo di circa 15 euro ad azione. A quel punto Camfin investirà il capitale monetario ottenuto dalla cessione delle proprie azioni per entrare come socio unico di minoranza nella "nuova" Pirelli, con una quota ancora da definire ma che sarà sicuramente compresa tra il 35% e il 50% meno uno. Al gruppo facente riferimento a ChemChina spetterà invece una quota compresa tra il 50% più uno e il 65%. Sebbene l'operazione sul mercato sia ancora da completare, i primi dettagli dell'accordo prevedono la permanenza di Tronchetti Provera alla guida dell'azienda, mentre la sede ed il centro di ricerca resteranno in Italia. Tutto questo almeno fino al 2021, quando sarà comunque possibile modificare i termini dell'accordo soltanto col parere favorevole di almeno il 90% dei voti in assemblea, dunque anche della cordata italo-russa.

Si tratta di un rilancio fondamentale per il gruppo Pirelli che da un lato conferma il modello dal mutuo vantaggio seguito dalla Cina nel quadro dell'investimento estero (il "Go global" lanciato da Pechino due anni fa) e dall'altro salva lo storico marchio italiano, solidificandone la struttura finanziaria. Come ha affermato lo stesso Tronchetti Provera, "l'accordo rappresenta una grande opportunità", sottolineando che "l'approccio al business e la visione strategica di CNRC garantiscono lo sviluppo e la stabilità di Pirelli''.

Nonostante le rassicurazioni del numero uno dell'azienda, però, i sindacati annunciano battaglia. Susanna Camusso ha attaccato sia Tronchetti Provera sia il governo per le "incapacità a competere del capitalismo italiano" e per "l'assenza di politiche industriali". In primo luogo, la Camusso evita di dire che a rendere il "capitalismo italiano" meno competitivo sono anzitutto la pesante limitazione di sovranità nella determinazione delle politiche economiche e strategiche, imposta da Bruxelles, e l'altissima pressione fiscale, che lei e molti suoi colleghi vedono come soluzione per ogni male, perpetuando un assistenzialismo straccione e parassitario, incompatibile con un'economia di mercato. In secondo luogo, sul tema specifico dell'internazionalizzazione, le organizzazioni confederali mettono sempre più in luce una doppia morale di comportamento a seconda della provenienza degli investitori esteri. Quando, di recente, l'americana Whirlpool ha assorbito interamente la Indesit o la giapponese Hitachi ha rilevato il 100% di AnsaldoBreda, Cgil, Cisl e Uil non hanno proferito parola né tanto meno organizzato manifestazioni di rilievo. Malgrado la prepotenza della ThyssenKrupp sulla vicenda delle Acciaierie ternane, le tre sigle sindacali continuano ad elemosinare accordi al ribasso con una dirigenza tedesca che ha intenzione non solo di non scendere ad alcun compromesso ma nemmeno di vendere, per paura della futura concorrenza, decretando di fatto la morte per agonia di uno dei più importanti poli siderurgici nazionali.

Dall'altra parte, invece, tra le file della destra "romantica", non si sono fatte attendere le sconclusionate grida contro la presunta "svendita" del "patrimonio nazionale", sebbene Pirelli fosse completamente privata, da un anno anche in mano russa, e l'accordo raggiunto salvi di fatto l'"italianità" del prodotto, tanto in termini di marchio che in termini occupazionali.

Dopo il crollo del prezzo del petrolio e la conseguente crisi del rublo, nemmeno il gigante russo Rosneft era più in grado di assicurare la stabilità cercata da Tronchetti Provera in una fase recessiva pesantissima per tutto il sistema industriale italiano. L'alternativa era il nulla, cioè la chiusura e la distruzione dell'ennesimo gruppo storico del Belpaese. Oggi invece, grazie alla crescente cooperazione economico-commerciale tra noi e la Cina, si intravvede una luce in fondo al tunnel.

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

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