(ASI) È tutto pronto per il prossimo vertice del Forum sulla Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), in cartello dal 4 al 6 settembre prossimi a Pechino. A ventiquattro anni dalla sua fondazione, la piattaforma multilaterale tra la Cina e 53 dei 54 Paesi africani, sta ormai lavorando a pieno ritmo per coordinare e rafforzare i meccanismi di cooperazione tra il gigante asiatico e il Continente.
Previsto ogni tre anni, in una sede che si alterna tra Pechino ed una metropoli africana, il summit del FOCAC torna così a svolgersi in presenza dopo la modalità ibrida che aveva caratterizzato l'ultimo vertice a Dakar del 2021, con Xi Jinping ed altri leader allora collegati in videoconferenza con la capitale senegalese.
Se un tempo, le prospettive di sviluppo dell'Africa apparivano deboli, talvolta intrappolate negli ostacoli strutturali di un processo di decolonizzazione che faticava a sprigionare il proprio potenziale socio-economico, oggi le cose sono profondamente cambiate.
Tra il 2010 e il 2023, il PIL complessivo dei Paesi africani è passato da 2.059 a 3.145 miliardi di dollari, con una crescita media di quasi il 4% se si esclude il 2020, condizionato dalla pandemia. Le previsioni stimano un PIL pari a 4.288 miliardi per il 2027 ed un tasso medio di crescita di circa il 4,37% nel periodo 2024-2027 [Statista].
L'entrata in vigore, il primo gennaio 2021, dell'Area Continentale Africana di Libero Scambio (AfCFTA), uno spazio economico che ingloba 1,3 miliardi di persone e 3.400 miliardi di dollari di PIL, ha fornito un impulso notevole al commercio intra-regionale, facilitando gli scambi tra i Paesi aderenti.
In questo percorso di sviluppo, il ruolo del Dragone, primo partner commerciale del Continente da ormai quindici anni, resta una componente essenziale. Lo scorso anno, il commercio tra Cina e Africa ha toccato un volume d'interscambio da record, pari a 282,1 miliardi di dollari, in crescita dell'1,5% rispetto al 2022. Stando ai dati del Fondo Monetario Internazionale, il colosso asiatico assorbe circa un quinto delle esportazioni dei Paesi africani e copre oltre un sesto delle loro importazioni.
Nei primi sette mesi di quest'anno, il commercio bilaterale sino-africano ha già fatto registrare una crescita del 5,5% su base annua, totalizzando quasi 167 miliardi di dollari nel solo periodo gennaio-luglio, come riportato dall'Amministrazione Generale delle Dogane (GAC) della Repubblica Popolare.
«La Cina è stata a lungo impegnata nell'approfondimento della cooperazione economica e commerciale con l'Africa, tramite relazioni industriali sempre più strette», ha confermato in questi giorni Lyu Daliang, direttore del dipartimento di statistica e analisi del GAC, che ha aggiunto: «Il commercio cinese con l'Africa di beni intermedi ha segnato una crescita del 6,4% su base annua nei primi sette mesi di quest'anno, contribuendo per il 68% al valore complessivo del commercio bilaterale, e ha aiutato l'Africa nel suo processo di industrializzazione e diversificazione economica».
Il rapporto aveva da molti anni raggiunto una sua complementarietà. Da un lato, la Cina acquistava materie prime africane, dall'altro l'Africa importava manufatti, prodotti elettronici e macchinari cinesi. A questo si aggiungevano i finanziamenti erogati da Pechino per la realizzazione o la modernizzazione, spesso in joint-venture, delle infrastrutture africane, come ferrovie, strade, porti, dighe, reti elettriche ed idriche, asset fondamentali per garantire ai Paesi del Continente, in particolare quelli sub-sahariani, uno sviluppo stabile e diffuso. In parte, effettivamente, è ancora così.
Eppure, come suggeriscono i dati diffusi da Lyu, qualcosa sta cambiando nell'architettura della cooperazione tra le parti. Non soltanto per il rallentamento economico patito dalla Cina nella fase di ripresa post-pandemica o per una serie di debiti non saldati che hanno costretto Pechino a cancellarne o ristrutturarne una quota consistente, ma anche perché l'Africa sta entrando in una nuova fase di sviluppo, dove ai tradizionali settori estrattivi si affiancheranno nuovi motori di crescita legati alla digitalizzazione e alla transizione ecologica, capaci anche di orientare in modo sostenibile l'inevitabile passaggio su larga scala dall'agricoltura di sussistenza a quella intensiva.
In questo senso, le sfide principali per il Continente giungono dalla denutrizione, dalla malnutrizione, dal cambiamento climatico e dal conseguente prolungamento dei periodi di siccità. Secondo uno studio della FAO, in collaborazione con il Dipartimento per lo Sviluppo Internazionale del Regno Unito (DFID), le imprese cinesi attive in Africa «stanno compiendo sforzi concertati per impegnarsi nell'agricoltura responsabile», sulla base di «linee-guida introdotte dal governo centrale e dai governi locali» del Paese asiatico, «molte delle quali contengono disposizioni in linea con gli standard volontari internazionali, tra cui le Linee-Guida Volontarie sulla Governance Responsabile della Proprietà Fondiaria, della Pesca e delle Foreste nel Contesto della Sicurezza Alimentare Nazionale (VGGT)».
Inquadrando l'evento nell'alveo della Cooperazione Sud-Sud, il Prof. Zha Daojiong, dell'Università di Pechino, ha recentemente spiegato in un articolo pubblicato da CGTN che il significato del prossimo vertice non risiede tanto in quello che la Cina può fare per l'Africa, certamente non solo attraverso una quantità promessa di investimenti o un aumento del commercio, ma che è semmai più utile considerare il summit come un'affermazione di impegno verso la filosofia di sviluppo secondo cui l'essenza della governance è il miglioramento del sostentamento delle persone [CGTN, 28/8/2024].
Appare ormai chiaro che l'opinione pubblica in Europa non può più ignorare l'impegno cinese in Africa, o derubricarlo banalmente ad una nuova forma di "sfruttamento", cercando di proiettare su qualcun altro le responsabilità storiche del colonialismo, dell'interventismo e delle ingerenze politiche, anche relativamente recenti, come accaduto in Libia nel 2011. Se la Cina dovesse riuscire a sostenere con successo una strategia di ampio respiro per lo sviluppo e la stabilizzazione dell'Africa, a trarne vantaggio sarebbero, in seconda battuta, anche tutti i Paesi della sponda nord del Mediterraneo, a partire dall'Italia, su cui la pressione migratoria comincerebbe a ridursi.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia