(ASI) La scorsa settimana, il primo ministro cinese Li Qiang è volato in Europa per una missione diplomatica di alto livello che ha toccato prima la Germania, dove si è fermato quattro giorni per partecipare al 7° Vertice intergovernativo Cina-Germania e all'11° Forum Cina-Germania sulla cooperazione economica e tecnologica, e poi la Francia, dove ha preso parte al Summit for a New Global Financing Pact, evento promosso dal Ministero per l'Europa e gli Affari Esteri francese.
Nei due importanti Paesi europei, il premier del colosso asiatico ha incontrato rispettivamente il cancelliere Olaf Scholz e il presidente Emmanuel Macron, oltre ad importanti rappresentanti delle comunità imprenditoriali locali, in un clima caratterizzato da cordialità e marcato interesse reciproco.
Stando ai dati dell'Ufficio di Statistica della Repubblica Federale Tedesca, lo scorso anno l'interscambio commerciale con la Cina ha raggiunto un volume record pari a 292,43 miliardi di euro, in crescita del 21% rispetto al 2021, facendo del Paese asiatico il più importante partner commerciale della Germania per il settimo anno consecutivo [Reuters]. I dati francesi indicano invece che il solo commercio di beni tra il Paese transalpino e la Cina ha raggiunto quota 100,7 miliardi di euro nel 2022, per un incremento del 14,6% rispetto al 2021 [CGTN].
Più estesamente, come sottolineano gli analisti di Dezan Shira & Associates, il commercio tra Cina ed Unione Europea è cresciuto molto velocemente nel corso degli ultimi due anni, con un incremento di oltre il 20% tra il 2021 e il 2022, contro un più modesto +4,6% registrato nel 2020, segnato dalla pandemia. Lo scorso anno, l'interscambio totale ha toccato quota 856,3 miliardi di euro, facendo della Cina il secondo maggior partner commerciale dell'UE dopo gli Stati Uniti [Eurostat].
Sebbene siano ancora le importazioni dei Paesi europei a trainare il dato dello scambio di beni, e dunque l'UE mantenga un significativo deficit commerciale rispetto al gigante asiatico, nel 2022 gli investimenti diretti europei in Cina hanno ripreso quota dopo tre anni (2019-2021) consecutivi di calo, con un incremento del 92,2% rispetto all'anno precedente, come indicato dal Ministero del Commercio cinese [Xinhua]. Nel dettaglio la Germania, con un aumento del 52,9%, si è piazzata al secondo posto per crescita annua tra i Paesi di origine dei flussi di IDE in Cina, dietro la Corea del Sud e davanti al Regno Unito.
Se le incertezze sorte durante la pandemia e il clima di tensione a livello geopolitico hanno inizialmente scoraggiato gli investimenti, con la fine delle misure emergenziali in Cina e la conseguente ripresa dei consumi, il mercato cinese è rapidamente tornato ad attrarre le imprese straniere. Le teorie elaborate da diversi analisti in merito alla necessità di adottare politiche orientate ad un marcato de-risking o addirittura ad un progressivo de-coupling rispetto al gigante asiatico si sono insomma rivelate sin qui piuttosto astratte.
Indubbiamente, con l'annuncio del "Critical Raw Materials Act", a marzo la Commissione UE ha lanciato un segnale emblematico sulla volontà di Bruxelles di diversificare le catene di approvvigionamento di materie prime strategiche, incluse le ormai note terre rare, e ridurre gli eccessi di dipendenza dalla Cina in questo ambito. Tuttavia, come ha ricordato Olaf Scholz durante l'incontro con Li Qiang, la Germania è assolutamente contraria a qualsiasi forma di deglobalizzazione o di decoupling ed è favorevole a rafforzare ulteriormente gli scambi tra le due parti, approfondire la cooperazione dal mutuo vantaggio e raggiungere una maggiore intesa in materia di cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile. Per il cancelliere, in sostanza, ridurre il rischio non significa affatto separarsi dal mercato cinese.
Da parte sua, anche Macron, che era già stato in Cina ad aprile, ha affermato che Parigi conferisce la massima importanza alle relazioni con Pechino. Nelle parole dell'inquilino dell'Eliseo, la Francia è pronta a lavorare per potenziare il coordinamento tra i due Paesi attraverso i meccanismi del Dialogo Strategico Francia-Cina, del Dialogo di Alto Livello Economico e Finanziario, del Dialogo di Alto Livello sugli Scambi People-to-People, e ad approfondire la cooperazione in settori quali l'aviazione, l'aerospazio, l'energia nucleare, l'agricoltura e l'alimentare. Nella sua trasferta cinese di oltre due mesi prima, Macron aveva addirittura rilanciato il mai sopito piano per l'autonomia strategica europea, sganciandosi dalla retorica del G7 e dell'Amministrazione Biden su Taiwan.
«Il paradosso sarebbe che, sopraffatti dal panico, credessimo di essere semplicemente seguaci degli Stati Uniti», aveva detto il 9 aprile scorso il presidente francese in un'intervista con Politico.eu durante il volo da Pechino a Guangzhou, aggiungendo: «La domanda a cui gli europei dovrebbero rispondere è questa: È nel nostro interesse accelerare una crisi a Taiwan? No».
Se, in fin dei conti, una tale presa di posizione poggia sulla coerenza con il diritto internazionale ed il principio di Una sola Cina, che tutti i Paesi NATO [tra i tanti altri] hanno recepito da decenni, ben più inaspettata è giunta l'indiscrezione secondo cui il 3 giugno scorso Macron avrebbe chiesto all'omologo sudafricano Cyril Ramaphosa di essere invitato al vertice BRICS del prossimo agosto a Johannesburg [Agenparl].
Eccesso di protagonismo per una Francia che - come già accaduto in passato con De Gaulle, Mitterrand e Chirac - non ci sta a finire in disparte, adombrata dalla forte riaffermazione di potere degli Stati Uniti sull'Europa, oppure un sasso lanciato nello stagno per provare seriamente a ricollocare Parigi, e dunque l'UE, nel nuovo mondo multipolare in divenire? Solo il tempo potrà darci la giusta risposta.
Al Summit for a New Global Financing Pact era tuttavia presente anche il belga Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo ma anche vero e proprio alter ego di Ursula von der Leyen tra i vertici UE: prudente realista il primo, falco idealista la seconda. Per di più, in costante competizione personale tra loro. Nell'incertezza dei vertici UE, Francia e Germania sembrano aver voluto cogliere la palla al balzo, prendersi direttamente la scena e rispondere agli Stati Uniti. Dopo aver subito le pesanti conseguenze dello sconvolgimento dei meccanismi di sicurezza energetica a seguito delle decisioni assunte in risposta all'intervento russo in Ucraina, l'Europa non può permettersi altri shock.
Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia