"Sono molto felice di vedere a questo tavolo un numero importante di paesi del mondo islamico. Questo dimostra che la nostra non è una coalizione dell'Occidente, ma di un gruppo di paesi che credono nella necessità di aiutare l'Afghanistan", ha affermato Frattini, concludendo il summit accanto al coordinatore degli inviati speciali, l'ambasciatore tedesco Michael Steiner e al collega afghano Zalmay Rassoul. Da quest'ultimo è arrivato un appello preciso: "Abbiamo bisogno del vostro sostegno a lungo termine, nella certezza che senza l'aiuto dei nostri vicini di casa il processo di transizione non avrà successo".
La transizione verso la sovranità afghana, che come ha precisato Steiner "non coinciderà con un ritiro delle truppe, ma sarà una sua precondizione", passa in primo luogo dalla reintegrazione degli ex talebani. "C'è spazio per chiunque voglia essere riconciliato", ha assicurato l'inviato americano Richard Holbrooke, ma con delle "linee rosse" ben definite: la rinuncia alla violenza, la deposizione delle armi e il rispetto della Costituzione afghana, che include la tutela dei diritti delle minoranze e delle donne. "La riconciliazione politica è una questione fondamentale: la comunità internazionale può sostenerla, incoraggiarla, ma spetta agli afghani perseguirla", ha aggiunto Frattini, mettendo poi in evidenza il "ruolo cruciale del Pakistan", dove trovano rifugio i terroristi di al Qaida. "Avere ai confini dell'Afghanistan un Pakistan collaborativo è essenziale per il successo". D'altronde è emersa anche la settimana scorsa a Bruxelles nella riunione dei ‘Friends of Pakistan’ "la comune volontà politica di aiutare Islamabad a prevenire il radicamento dell'estremismo all'interno del Paese".